Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914)
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1798 - 1865
Stendhal dedica a Giuditta Pasta un intero capitolo, il trentacinquesimo, de La vie de Rossini: «Cedo alla tentazione di provare a tracciare un ritratto musicale della signora Pasta. Si può dire che non fu mai impresa più difficile. Per la giusta ammirazione che questa grande cantante ispira al pubblico, anche il lettore più benevolo troverà il suo ritratto sbiadito e mille volte al di sotto di quanto si attendesse». Il suo nome da nubile era Angiola Maria Costanza Negri, ma allora, siamo nella prima metà dell'Ottocento, a tutti era nota come Giuditta Pasta. Era bellissima, ci confermano oltre alle cronache dell'epoca i numerosi suoi ritratti: un ovale perfetto, grandi ed espressivi occhi scuri; ieratica e solenne come Norma, liliale e modesta come Amina, eroica come Tancredi, maliziosa come Cherubino e Despina. A diciott'anni debuttò come cantante; l'anno seguente andò sposa al tenore Giuseppe Pasta, e dopo una breve interruzione per la nascita dell'unica figlia, la sua carriera di diva continuò ininterrotta specialmente in Italia, Francia, Inghilterra, fino al 1835; poi, se non in declino, certo in tono minore calcò ancora palcoscenici in Polonia e in Russia e si esibì in numerosissimi concerti. Si spense a Como nel 1865. Era un'epoca in cui il racconto di sentimenti, passioni, conflitti, specialmente in Italia, si esprimeva non tanto nelle pagine scritte del romanzo, quanto invece in quelle pentagrammate dei grandi autori di melodramma – Donizetti, Rossini, Bellini – e dei loro validi librettisti, artefici e cultori del “bel canto”. Giuditta Pasta ne fu la principale ispiratrice e interprete. Particolarmente intenso e affettuoso fu il legame con Vincenzo Bellini, che per la Pasta, quasi su misura del suo talento di cantante e di attrice, compose Norma e Sonnambula. Felice Romani, il librettista di entrambe le opere, il 31 agosto 1831 diede al musicista i versi dell'introduzione di Norma. Il giorno seguente così Bellini indirizza una lettera a Madame Juditte Pasta au Théàtre Italien de Paris:
«Mia cara amica, Per Rossini, Giuditta Pasta fu insuperabile interprete di ruoli sia leggeri che tragici: Desdemona, tenera e incolpevole nell'Otello; la patetica Cenerentola; la maliziosa Rosina; l'eroico Tancredi, personaggio en travesti. La Pasta, insoddisfatta del finale del Tancredi, chiese al compositore una nuova aria. Rossini non volle scrivergliela. Giuditta allora interpolò nel finale un'aria di Giuseppe Nicolini (Voi cimentarla osaste da Il ponte di Lenosse); non paga, la divina arrivò a chiedere a Rossini di fornire varianti per quest'aria, sebbene non fosse sua. Ed egli, incredibilmente, acconsentì. Ma Giuditta aveva un gran cuore oltre che un'appassionata tensione d'attrice. A Trieste, un povero bambino di tre anni le chiese l'elemosina per la madre cieca. La diva pianse e dette al piccolo mendicante tutto quello che aveva con sé. Asciugatasi le lacrime, disse: «Questo bambino mi ha chiesto l'elemosina in modo sublime. Ho visto in un batter d'occhio tutte le disgrazie di sua madre, la miseria della loro casa, la mancanza di vestiti, il freddo di cui soffrono così spesso. Sarei una grande attrice se, all'occorrenza, sapessi trovare un gesto capace di esprimere la più profonda sventura con tanta verità». Scrive ancora Stendhal:
«La voce della signora Pasta ha una notevole estensione. Rende in modo sonoro il La sotto il rigo e si innalza fino al Do diesis e anche fino al Re acuto. La signora Pasta ha il raro dono di poter cantare la musica per contralto come quella per soprano. La sua voce, poi, non è tutta di un Sol metallo (cioè in uno stesso timbro), e questa differenza tra i suoni all'interno di una stessa voce è uno dei più potenti mezzi espressivi di cui sappia avvalersi questa grande cantante. Paola Sacerdoti |