Articolo della sezione "Il regime fascista".
1. Lo scioglimento dei consigli comunali
Uno degli ostacoli per “la conquista fascista dello Stato” fu rappresentato dal radicato e diffuso tessuto dei poteri locali. Lo scioglimento dei consigli comunali, sebbene fosse stata una pratica di governo consueta nell’Italia liberale, aumentò notevolmente di intensità nel periodo di transizione che portò alla costruzione del regime fascista. In questo modo, si passò dai 631 consigli sciolti nel periodo 1910-1914 ai 1.768 del periodo 1921-1926. Le pagine che seguono, tratte da un contributo di Marco Palla, sono un’efficace analisi di questo fenomeno
L. Ponziani, Fascismo e autonomie locali, in M. Palla (a cura di) Lo Stato fascista, Firenze, La Nuova Italia, 2001, pp. 317-328.
2. L’organizzazione dello Stato totalitario
Inizialmente, nel campo dell’amministrazione locale, il regime fascista si limitò a riforme parziali di carattere eminentemente tecnico che non modificavano la sostanza dell’ordinamento vigente. Il documento riprodotto è un breve estratto di un classico della storiografia sul fascismo L’organizzazione dello Stato totalitario di Alberto Aquarone, in cui si delinea, sinteticamente, il sistema gerarchico e accentrato costruito dal fascismo. Un ordinamento, sostiene lo storico, che dal punto di vista dell’efficienza amministrativa non si rivelò superiore a quello precedente.
A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965, pp. 12-13.
La riforma amministrativa messa in atto dal regime fascista tra il 1922 e il 1924 sembrò delineare l’accantonamento della prospettiva della fondazione di uno “Stato nuovo”: ovvero di uno Stato antiburocratico che fosse in grado valorizzare le “capacità delle forze produttive” ed eliminare qualsiasi forma di parassitismo. I decreti del primo governo Mussolini sancivano, infatti, secondo Roberto Ruffilli, soltanto l’adozione di una “formulazione autoritaria di liberismo amministrativo” che aveva poco in comune con le originarie matrici ideologiche del fascismo. Un “liberismo amministrativo” che, tra l’altro, sarebbe stato ampiamente superato già a partire dal 1926 con l’emergere di una prospettiva opposta, quella “interventista”.
R. Ruffilli, Istituzioni società Stato, vol. I: Il ruolo delle istituzioni amministrative nella formazione dello Stato in Italia, a cura di M. S. Piretti, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 480-481; 483-485; 493-499.
4. Il podestà
L’istituzione del Podestà al posto della tradizionale figura del sindaco venne introdotta con la Legge n. 237 del 4 febbraio 1926 e, inizialmente, si applicò soltanto ai comuni con popolazione sino ai 5.000 abitanti. Qualche mede dopo, con il Regio Decreto Legge n. 1910 del 3 settembre 1926, la figura del Podestà venne estesa a tutti i comuni del Regno. La riforma podestarile voleva colpire, secondo i dettami ideologici del regime, il “falso concetto dell’autonomia locale”, ovvero l’idea che il potere locale venisse rivolto contro lo Stato. Tuttavia era evidente che questa novità colpiva direttamente la democrazia comunale e si configurò, secondo l’interpretazione fornita da Di Nucci, come un “momento della costruzione dello Stato totalitario”.
L. Di Nucci, Il podestà fascista. Un momento della costruzione dello stato totalitario, in “Ricerche di Storia Politica”, n. 1, 1998, pp. 12-21.
5. Il rapporto centro-periferia
Secondo un giudizio storiografico consolidato, il regime fascista cercò di comprimere le autonomie locali in nome di una visione centralistica dello Stato. Inizialmente utilizzando tutti gli strumenti normativi che l’ordinamento locale metteva a sua disposizione, a partire dalla possibilità di sciogliere i consigli comunali. Poi con l’introduzione della figura del podestà che modificò radicalmente l’intero impianto dei rapporti centro-periferia così come si era assestato negli ultimi 60 anni. E quindi con il rafforzamento dei poteri dei prefetti. Tuttavia, come ha evidenziato Guido Melis, “la scelta fondamentalmente centralistica che caratterizzò le istituzioni fasciste non escluse che nel ventennio si sviluppassero forme larvate di decentramento burocratico”.
G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), Bologna, il Mulino, 1996, pp. 345-357.
La transizione dal regime liberale a quello fascista avvenne sostanzialmente nel rispetto della legalità statutaria, anche se questo passaggio fu contrassegnato dalla violenza dello squadrismo e dalla marcia su Roma. Dopo l’omicidio Matteotti e la promulgazione delle cosiddette leggi fascistissime, però, si registrò una notevole trasformazione politica del vecchio ordinamento liberale. Adrian Lyttelton ripercorre sinteticamentele principali tappe della costruzione del regime fascista a partire dall’attentato a Mussolini del 31 ottobre 1926, a Bologna, per mano del giovane anarchico Anteo Zamboni.
A. Lyttelton, La dittatura fascista, in G. Sabbatucci, V. Vidotto (a cura di), Storia d'Italia, Vol. IV, Guerre e fascismo. 1914-1943, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 169-178.
7. Il fascismo e gli impiegati degli enti locali
Per ciò che concerne lo stato giuridico degli impiegati locali un passo decisivo venne compiuto dalla legislazione del 1928 e 1929, attraverso la quale il regime fascista intervenne su una figura chiave dell’ordinamento locale di matrice liberale: il segretario comunale, il quale ottenne la qualifica di funzionario dello Stato. Con questo riconoscimento amministrativo il regime otteneva due obiettivi: da un lato, inseriva, de iure, il segretario comunale all’interno della burocrazia statale sottoponendolo all’autorità del prefetto; dall’altro lato, rafforzando le attribuzioni del segretario comunale, riusciva a garantire un livello minimo di efficienza amministrativa di fronte alle carenze della riforma podestarile.
P. Schiera, I precedenti storici dell'impiego locale in Italia: studio storico giuridico 1859-1960, Milano, Giuffrè, 1971, pp. 135-143.
Oltre alla riforma podestarile, la svolta autoritaria impressa dal regime fascista agli enti locali è ben rappresentata dal rafforzamento delle competenze della figura del prefetto. Questo rafforzamento avvenne, essenzialmente, con la Legge n. 660 del 3 aprile 1926 e con la circolare ai prefetti del 5 gennaio 1927. Con questi provvedimenti, che furono poi ampiamente recepite nel Testo Unico del 1934, Mussolini indicò in maniera inequivocabile quale fosse il ruolo del prefetto nell’ambito dell’ordinamento locale fascista: quello di massima autorità dello Stato e di fedele esecutore della volontà politica del governo centrale.
R. Fried, Il prefetto in Italia, Milano, Giuffrè, 1967, pp. 165-184.
Un’interpretazione storiografica d’uso comune è solita rappresentare il fascismo come una forma di “totalitarismo imperfetto”. E cioè comeun regime che, a differenza del nazismo e dello stalinismo, si discostava da essi per almeno due motivi. Prima di tutto, per il ruolo svolto in Italia da due istituzioni, la corona e la Chiesa; e in secondo luogo, per il diverso rapporto che si instaurò tra il partito e lo Stato. Un rapporto che implicava la subordinazione del partito allo Stato ma che, come rileva, Emilio Gentile, non eliminava i conflitti tra i rappresentanti del PNF e quelli del Governo centrale.
E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Roma, Nis, 1995, pp. 172-175.
10. Il dualismo tra lo Stato e il partito
Il rapporto tra lo Stato e il PNF è stato oggetto di molti studi e un giudizio storiografico consolidato assegna al partito un ruolo subalterno rispetto allo Stato. Tuttavia, secondo Di Nucci, si tratta di un rapporto dialettico e di interdipendenza, dal quale scaturisce uno “Stato-partito fascista”, che si caratterizzò per una relazione di “subordinazione” e di “compenetrazione” del partito allo Stato. Non soltanto, dunque, la classica contrapposizione tra prefetti e federali, secondo il tradizionale schema interpretativo, ma anche un dualismo tra segretari generali e governo. Un dualismo che ebbe inizio sin dagli anni immediatamente successivi alla marcia su Roma, perdurò perfino durante la guerra e contribuì a generare, come scrive l’autore, una “duplicità di indirizzo nella politica interna” e quindi un vero e proprio “caos sistemico”.
L. Di Nucci, Lo Stato-partito del fascismo. Genesi, evoluzione e crisi 1919-1943, Bologna, il Mulino, 2010, pp. 413-421 e 493-495.
11. La riforma degli enti locali del 1934
Il regime fascista in nome di una visione centralista dello Stato intraprese sin dall’inizio alcune modifiche dell’ordinamento locale: ad esempio con l’introduzione del Podestà nel 1926, con il rafforzamento della figura dei prefetti nel 1927 e con il riassetto amministrativo delle Province nel 1928. Gran parte delle disposizioni normative vennero poi sistemate e coordinate nel nuovo testo Unico della legge comunale e provinciale del 1934. Le pagine che seguono sono un estratto di un saggio di Ettore Rotelli sulla creazione del nuovo ordinamento locale fascista a partire dall’emanazione del testo unico della finanza locale del 1931.
E. Rotelli, Le trasformazioni dell’ordinamento comunale e provinciale durante il regime fascista, in S. Fontana, Il fascismo e le autonomie locali, Bologna, il Mulino, 1973, pp. 145-155.
12. Regionalismo e identità culturale
Durante il regime fascista si registrò una vigorosa ripresa delle feste popolari in cui si combinavano la valorizzazione di alcuni elementi folkloristici con una nuova dimensione identitaria delle comunità locali. Nelle pagine che seguono, Stefano Cavazza compie una riflessione introduttiva sul rapporto tra l’identità culturale delle regione e il dibattito politico nazionale, evidenziando alcuni motivi di lungo periodo, a partire dall’Unità d’Italia, che stimolarono la costruzione delle identità regionali.
S. Cavazza, Piccole patrie. Feste popolari tra regione e nazione durante il fascismo, Bologna, il Mulino, 1997, pp. 17-29.
Nelle pagine che seguono, Sabino Cassese mette in evidenza il “paradosso” dello Stato fascista: quello di essere, al tempo stesso, un ordinamento “monolitico e pluralizzato”. Uno Stato che si fondava, cioè, “sul monopolio” del governo centrale ma che favoriva anche lo sviluppo “degli enti e delle corporazioni”. Un sistema di potere che permetteva, dunque, di “estendere il controllo pubblico” in zone solitamente riservate all’azione individuale, come l’economia, ma anche di “canalizzare interessi di gruppi e categorie” che con questa prassi riuscivano a raggiungere “il centro del sistema”.
S. Cassese, Lo Stato fascista, Bologna, il Mulino, pp. 18-20.
1. La funzione storica delle città e lo Stato socialista
I documenti riprodotti sono due articoli scritti da Antonio Gramsci e usciti sul giornale “L’Ordine nuovo”. Il primo, non firmato, è stato pubblicato il 17 gennaio 1920, il secondo, anch’esso non firmato, è uscito, in due puntate, il 28 giugno e il 5 luglio 1919.
A. Gramsci, L’Ordine Nuovo 1919-1920, Torino, Einaudi, pp. 319-322 e 377-382.
2. Il dibattito parlamentare sulle autonomie locali
Il 23 novembre 1920, il Presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, di concerto con il Ministro del Tesoro, Filippo Meda, presentò un disegno di legge sull’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sull’ordinamento e il finanziamento delle amministrazioni centrali e dei servizi da esse dipendenti. La Camera ne discusse per 6 tornate, tra il 24 febbraio ed il 4 marzo 1921. In quella del 26 febbraio Pietro Chimienti svolse un ordine del giorno dal titolo “La Camera, convinta che la riforma dell’ordinamento amministrativo sulla base del sistema regionale sia ormai matura, invita il Governo a presentare il relativo disegno di legge”. Il documento riprodotto è il discorso di Chimienti alla Camera.
Aspetti della politica liberale (1881-1922), Discorsi parlamentari pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, Vol. I, Roma, Colombo, 1974, pp. 501-506.
3. La proposta regionalista di Sturzo
Durante il III Congresso del Partito Popolare Italiano, che si svolse a Venezia dal 20 al 23 ottobre 1921, Luigi Sturzo svolse un’acuta riflessione sulle questioni del decentramento amministrativo, delle autonomie locali e della costituzione dell’ente regione. Il documento che segue è uno stralcio della relazione di Sturzo che suscitò un ampio e vivace dibattito congressuale.
L. Sturzo, Il decentramento amministrativo, le autonomie locali e la costituzione della regione (23 ottobre 1921) in L. Sturzo, Saggi e discorsi politici e sociali, a cura di V. Clemente, Roma, Edizioni Cinque Lune, 1973, pp. 142-159.
4. La riforma della pubblica amministrazione
Subito dopo la marcia su Roma, il governo Mussolini, sulla base dei poteri concessigli dal Parlamento con la Legge n. 1601 del 22 dicembre 1922, tentò di avviare una riforma della pubblica amministrazione. Il documento qui riprodotto – pubblicato per la prima volta, nel 1975, in appendice ad un saggio di Roberto Ruffilli – si riferisce alla seduta del Consiglio dei Ministri del 31 agosto 1923. Secondo Ruffilli, in questo documento è evidente l’influenza di Caruso, il Capo dell’ufficio per la riforma amministrativa dipendente dal sottosegretario per la Presidenza del Consiglio, Giacomo Acerbo.
R. Ruffilli, Istituzioni società Stato, vol. I: Il ruolo delle istituzioni amministrative nella formazione dello Stato in Italia, a cura di M. S. Piretti, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 528-532.
5. Un nuovo ordinamento per i poteri locali
Il documento riprodotto è uno stralcio della nuova Legge comunale e provinciale del 1923 coordinata con il Testo Unico del 1915 e con le successive modifiche.
Legge Comunale e Provinciale: R.D. 30 dicembre 1923 n. 2839 coordinato in Testo Unico con la legge 4 febbraio 1915 n. 148 e con tutte le successive modificazioni, Viareggio, Biblioteca di legislazione amministrativa, 1924, pp. 47-50; 85-100; 120-128.
Il documento riprodotto è una parte del progetto di riforma della pubblica amministrazione concepita dal governo fascista nel 1924. Nello specifico, si tratta della bozza fatta circolare fra i Ministri in vista della seduta del Consiglio per l’approvazione della relazione finale da inviare al Parlamento. La relazione che verrà successivamente presentata in Parlamento risulterà alquanto rimaneggiata.
R. Ruffilli, Istituzioni società Stato, vol. I: Il ruolo delle istituzioni amministrative nella formazione dello Stato in Italia, a cura di M. S. Piretti, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 539-552.
Il documento che segue è la Legge n. 237 del 4 febbraio 1926 che introduce la Consulta municipale nei comuni con popolazione non eccedente i 5 mila abitanti e, soprattutto, la figura del Podestà, al posto di quella del sindaco, ponendo fine, in questo modo, all’elettività della carica municipale.
Legge n. 237 del 4 febbraio 1926, in “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia”, Torino, Favale, 18 febbraio 1926, pp. 806-807.
8. La circolare ai prefetti del 5 gennaio 1927
Uno dei momenti politico-simbolici più importanti nella costruzione dello Stato fascista è la circolare di Mussolini ai prefetti del 5 gennaio 1927, che pubblichiamo integralmente. In essa, tra le altre cose, veniva ricordato che il “prefetto è la più alta autorità dello Stato nelle province” e che egli “deve porre la massima diligenza nella difesa del regime”.
B. Mussolini, Ai prefetti, in Opera Omnia, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, Vol. XXII, Dall’attentato Zaniboni al discorso dell’Ascensione, Firenze, La Fenice, 1957, pp. 467-470.
9. Il discorso dell’Ascensione
Alla Camera dei deputati, il 26 maggio 1927, si inizia la discussione generale del disegno di legge sullo “Stato di previsione della spesa del Ministero dell’Interno per l’esercizio finanziario dal 1° giugno 1927 al 30 giugno 1928”. In quella sede, Mussolini pronuncia il cosiddetto “discorso dell’ascensione” (di cui riportiamo alcuni stralci) che delinea, efficacemente, la sua concezione dello Stato e della politica.
B. Mussolini, Il discorso dell’Ascensione, in Opera Omnia, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, Vol. XXII, Dall’attentato Zaniboni al discorso dell’Ascensione, Firenze, La Fenice, 1957, pp. 367-371; 380-381; 388-390.
10. La trasformazione dello Stato
Il documento che riproduciamo scritto dal giurista Alfredo Rocco – Presidente della Camera dei Deputati dal 1924 al 1925 e Ministro di Grazia e Giustizia dal 1925 al 1932 – cerca di fornire una legittimazione storico-politica alla trasformazione dello Stato, dalla vecchia concezione liberale a quella fascista.
A. Rocco, La formazione dello Stato fascista, Milano, Giuffrè, 1938, pp. 771-788.
11. La riforma della Provincia
Il regime fascista nel 1928 volle riformare l’amministrazione provinciale introducendo al vertice della piramide gerarchica un Preside, nominato dal Ministro dell’Interno, e un Rettorato generale. Il documento che riproduciamo è la Legge n. 2962 del 27 dicembre 1928 che sancisce queste modifiche.
Legge n. 2962 del 27 dicembre 1928, in “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia”, Torino, Favale, 7 gennaio 1929, pp. 85-86.
12. La legge comunale e provinciale del 1934
Il documento riprodotto è uno stralcio del nuovo Testo unico della legge comunale e provinciale approvato il 3 marzo 1934.
Testo unico della legge comunale e provinciale approvato con R. D. 3 marzo 1934 n. 383, in Ordinamento dei comuni e delle provincie, a cura della Direzione Generale dell’Amministrazione civile del Ministero dell’Interno, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1957, pp. 125-140; 153-158; 165-169; 219-224