Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra (1915-1950)
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1897 - 1977
Osservare l'effimero dalla parte dell'idea, valutare la vita sulla scala del pensiero, guardare la terra dall'alto: potrebbe essere questa la chiave interpretativa dell'opera di Benedetta Cappa Marinetti, scrittrice e teorica, pittrice e scenografa, intellettuale ed avanguardista che occupa a fianco di Filippo Tommaso Marinetti, nelle fila del futurismo – e nel più vasto panorama artistico-letterario – un posto di meritato rilievo. Tra le artiste della sua generazione, futuriste comprese, è forse l'unica che si sia dimostrata capace di attraversare con autonomia e competenza diversi campi della prassi artistica, per mettere in atto un'ipotesi di arte totale, che, se pure molto deve al futurismo, tuttavia si ritaglia un ambito di riconoscibile originalità. Nata a Roma tra il 14 e il 15 agosto del 1897, Benedetta proviene da un'agiata famiglia piemontese di vivaci tradizioni culturali, valdese da parte di madre. Secondogenita, unica femmina di cinque figli, viene indirizzata agli studi magistrali. Ma si interessa anche di pittura e, attorno ai vent'anni, inizia a prendere lezioni da Giacomo Balla, il cui atelier è frequentato da un vivace cenacolo di artisti d'avanguardia. Proprio qui, nel 1918, conosce Marinetti. Molto bella, «di temperamento eccezionale, volitivo e pratico» (così la descrive Elica Balla nelle sue memorie), conquista il quarantaduenne caposcuola dell'avanguardia internazionale, scapolo d'oro e impenitente tombeur des femmes, che, poco dopo averla conosciuta, ripudierà i suoi generici assolutismi «contro la donna e il sentimentalismo», per battersi in favore del libero amore e della parità tra i sessi. Si sposeranno nel 1923, dopo qualche anno di convivenza; dal loro matrimonio nasceranno tre figlie: Ala, Vittoria e Luce; a Benedetta, Marinetti dedicherà tenerissime poesie e una pubblica promessa di fedeltà. Di questo incontro “ciclonico”, resta testimonianza nel Romanzo astratto con sintesi grafiche che Benedetta pubblicherà nel 1924. Racconto di formazione, a sfondo fortemente autobiografico, Le forze umane, ben lontano dai consueti stereotipi di tanta letteratura femminile, descrive il penoso sbozzarsi dell'io dalle brume dell'infanzia e il prorompere di uno “sforzo differenziatore” che dolosamente contrappone la giovane protagonista al mondo esterno. Tutt'altro che pacificatrice è pure la scoperta dell'amore: il desiderio di fondersi nell'altro contrasta con la volontà di auto-individuazione della donna, e la reciproca resa dei due amanti, nonostante la «fusione dei due nuclei, maschile e femminile», non è che l'inizio di un faticoso cominciamento a due. Anche lo stile testimonia di una visione problematica, lontana da ovvie soluzioni: nella pagina, intensi abbandoni lirici si alternano a singolari asprezze immaginative e verbali e la prosa, di capitolo in capitolo, è contraddetta e superata da “sintesi grafiche” destinate a rendere visivamente, come scorci psicografici, il senso di realtà interiori complesse e conflittuali, al di là di ogni indugio esplicativo o descrittivo. Il libro, che Benedetta firma col solo nome di battesimo per sfuggire alla notorietà del cognome acquisito, segna l'inizio di un ricco percorso di sperimentalismo verbo-visivo, tra linguaggio e astrazione, tra oggettività e idealismo, che, è stato detto, «trasporta il fremito della carne nell'atmosfera astrale dei concetti». Questa tensione si rifletterà sul piano artistico in una ricerca figurativa che, dagli iniziali stilemi geo-metrico-scompositivi di Velocità di motoscafo (1923-24) e Luci e rumori di un treno notturno (esposti in varie mostre e alla XV Biennale di Venezia nel ‘26), di impianto ancora balliano, la condurranno verso le aeree e limpide atmosfere idealizzanti degli anni Trenta (Il grande X, esposto alla Quadriennale romana del ‘31, Elica, paesaggio in volo, del 1934; Cime arse di solitudine, 1936; Monte Tabor, 1939) e alla visionarietà sintetico-immaginativa del grande ciclo delle Sintesi delle comunicazioni realizzato per il Palazzo delle Poste di Palermo. Intanto, già dalla seconda metà degli anni Venti, l'attività di Benedetta diviene multiforme: se nel ‘21 aveva avuto un ruolo nell'elaborazione del tattilismo, e forse contribuito a creare la tavola tattile Sudan-Parigi, inedito viaggio per polpastrelli attraverso le suggestioni analogiche di un collage realizzato assemblando vari materiali d'uso quotidiano, ora firma, come scenografa, gli allestimenti per le commedie di Marinetti I prigionieri e l'amore (1926), L'oceano del cuore (1928), Simultanina (1931); collabora con i maestri ceramisti di Faenza e di Albisola per la realizzazione di oggetti decorati con riproduzioni dei suoi quadri; scrive numerosi articoli in cui rivela una più matura coscienza “al femminile”, che la spinge a ripudiare le teorie di Valentine de Saint-Point e di altri avanguardisti i quali vorrebbero modernizzare la donna mascolinizzandola. Gli anni Trenta sono particolarmente intensi: firma con il marito, che spesso sostituisce in alcune trasmissioni radiofoniche, il Manifesto dell'Aeropittura (1931) e il Manifesto della plastica murale (1934); è tra i firmatari del Manifesto del gruppo futurista primordiale Sant'Elia (1941). Pubblica infine due importanti romanzi. Nel primo, Viaggio di Gararà, «romanzo cosmico per teatro» (1931), Benedetta punta all'invenzione di un nuovo genere, al confine tra molte arti: inserisce nella trama scenica suoni, musiche, canti e coreografie; fonde le convenzioni teatrali con le tecniche dal romanzo; accentua al massimo la componente pittorica della scenografia, utilizzando al modo di Kandinskij la suggestione dei colori e delle forme; affida il ruolo di personaggi ad archetipi o idee la cui fisionomia ricorda i “mostri” di Savinio e di De Chirico. Il reale è visitato in una prospettiva orfico-pitagorica, protesa alla scoperta delle energie che muovono l'universo e all'invenzione delle forme-pensiero che le rappresentano. Nel secondo, Astra e il sottomarino, «romanzo di vita trasognata» (1935), l'immaginario teosofico si arricchisce di componenti psicanalitiche e surreali. La relazione d'amore tra i due protagonisti diviene un “campionato cosmico” in cui entrano in gioco tutte le forze fisiche ed eteriche, tra presentimenti, telepatie, medianità. Gli anni successivi allo scoppio della guerra, drammatici, poco significativi dal punto di vista della produzione, sono segnati da continui trasferimenti, da Roma a Venezia, a Salò, a Como, a Bellagio, dove Marinetti, già da tempo ammalato, muore nel dicembre del ‘44. Rimasta vedova, Benedetta si ritira a Venezia, e da qui moltiplica le iniziative perché l'importanza del futurismo venga riconosciuta nel mondo: tiene contatti, raccoglie e cataloga materiali, scrive una storia del futurismo e cerca, tra mille difficoltà, di creare un centro studi, che potrà realizzarsi, dopo tanti sforzi, soltanto negli Stati Uniti. Simona Cigliana |