La rivoluzione del 1831 nei Ducati e nello Stato pontificio, sebbene fosse collegata alla situazione internazionale creatasi dopo gli avvenimenti francesi del luglio 1830, fu influenzata nella sua preparazione dalla cosiddetta «congiura estense», un intrigo che aveva visto coinvolto il cospiratore modenese Enrico Misley fin dal 1826. Già a quel tempo, egli aveva infatti stretto rapporti con il duca di Modena Francesco IV, nel tentativo di coinvolgerlo in alcune trame finalizzate a porlo alla guida di un regno d’Italia indipendente.
|
|
A. Malatesta - Ciro Menotti - dipinto - Museo del Risorgimento - Torino |
Quando, nel novembre del 1830, Misley partì per Parigi, il compito di portare avanti la cospirazione, e di tenere i contatti con il duca, fu affidato a Ciro Menotti, che sul finire dell’anno riuscì a costituire comitati insurrezionali a Bologna, Firenze, Parma e Mantova. Il 12 dicembre 1830 Menotti inviò a Misley un programma nel quale proponeva di collegare ad un Comitato centrale italiano, da formarsi a Parigi, i comitati locali nel frattempo istituiti nelle varie città della penisola.
I rapporti tra Menotti e Francesco IV apparivano nel frattempo poco chiari e questa ambiguità di fondo giunse al culmine tra il dicembre 1830 e il gennaio 1831: Menotti cercava di persuadere il duca che il moto fosse ormai ineluttabile e che fosse opportuno favorirlo perché lui potesse divenire sovrano di uno stato più ampio.
Il duca a sua volta non ostacolava i movimenti di Menotti, ma al tempo stesso stringeva contatti con i sanfedisti delle Legazioni, e portava avanti preparativi di difesa.
Temendo di essere prevenuto da un’improvvisa azione repressiva, Ciro Menotti progettò quindi di dare inizio all’insurrezione il 5 febbraio 1831. A questo scopo inviò istruzioni ai comitati di Bologna e della Romagna affinché i moti cominciassero simultaneamente nella città di Modena e nei centri minori del Ducato. Secondo le sue trame i cospiratori avrebbero dovuto catturare il duca e impadronirsi del palazzo ducale, per poi aprire, in un secondo momento, la porta della città agli insorti che sarebbero accorsi dalla provincia.
Tuttavia, anticipando le mosse dei cospiratori, la mattina del 3 febbraio Francesco IV fece arrestare alcuni congiurati, tra cui figurava Nicola Fabrizi, e la sera stessa ordinò di assalire l'abitazione di Menotti dove erano riuniti molti uomini pronti all’insurrezione. Dopo un breve combattimento, Menotti stesso, assieme ad altri quarantatré patrioti, fu così catturato.
Il 5 febbraio giunse a Modena la notizia di un moto scoppiato il giorno precedente a Bologna, assieme alla voce, poi risultata infondata, di una marcia di numerosi bolognesi armati verso la città. Così il duca, dopo che gli fu negato aiuto da parte del generale Frimont, comandante dell’esercito austriaco nel Lombardo-Veneto, residente a Mantova, decise di rifugiarsi in quella città, nel timore che Modena potesse essere travolta dai gruppi di insorti che si aggiravano per il Ducato.
|
|
Anonimo - Il generale Nicola Fabrizi |
La sera del 5 febbraio, portando con sé prigioniero Ciro Menotti, lasciò temporaneamente l’amministrazione dello Stato ad alcuni funzionari ed ufficiali con poche forze a disposizione. I patrioti insorsero invece rapidamente, disarmarono le truppe senza trovare resistenza e, liberati i detenuti politici, costituirono il 9 febbraio un governo provvisorio, che il 18 si fuse con quello nel frattempo costituito a Reggio fin dal giorno 7.
La situazione si complicò anche nello Stato pontificio. In seguito ai fatti di Bologna, dove il 5 febbraio la fuga del prolegato papale aveva determinato anche qui la costituzione di un governo provvisorio e una guardia provinciale di cittadini, il moto si propagò in tutte le Legazioni e nelle Marche fino a Senigallia.
Fino al 9 febbraio in diverse località della zona i prolegati e i governatori papali cedettero il potere a commissioni provvisorie, si formarono corpi di guardie civiche e apparvero bandiere e coccarde tricolori, mentre le forze armate pontificie si disperdevano o passavano agli insorti. Soltanto a Forlì il passaggio dei poteri fu preceduto da uno scontro dove persero la vita due patrioti ed alcuni gendarmi pontifici.
Dopo che il moto insurrezionale ebbe coinvolto anche il Ducato di Parma e costretto nella notte tra il 14 e il 15 febbraio Maria Luigia alla fuga prima verso Casalmaggiore, in territorio Lombardo, e poi verso Piacenza, la rivoluzione si estese anche nel resto delle Marche e nell’Umbria: a Spoleto, a Perugia, ad Ancona dove, fallito un tentativo insurrezionale l’8 febbraio, il colonnello svizzero Suthermann, che comandava il presidio della cittadella, il 17 fu costretto a capitolare. La rivoluzione del 1831 giunse così, nei giorni 23 e 24 febbraio, al suo limite geografico più avanzato, cioè al confine tra l’Umbria e il Lazio.
Da questo momento in poi gli austriaci effettuarono rapidamente e con successo il loro intervento militare, quasi senza incontrare ostacoli, anche perché la maggior parte dei governi provvisori, composti per lo più di elementi moderati, non credeva nella possibilità di una resistenza efficace, e tantomeno nel valore che una lotta destinata all’insuccesso avrebbe potuto avere per l’avvenire. Il 1° marzo le truppe imperiali poterono varcare senza difficoltà il territorio del Ducato di Parma, il 4 entrarono nel Ducato di Modena, e agevolarono in questo modo il rientro nella sua città di Francesco IV, avvenuto il 9 dello stesso mese.
|
|
Fratelli D'Alessandri - Fratelli De Charette De La Contrie in divisa (esercito pontificio) - 1861 - fotografia - Archivio fotografico comunale - Roma |
Nelle province pontificie l’azione repressiva fu invece più lenta: una volta occupate Ferrara e Comacchio il 6 marzo, gli austriaci interruppero l’avanzata, infatti, per quasi due settimane e si avvicinarono a Bologna solo il 20, costringendo il governo a ritirarsi ad Ancona. Il comandante delle truppe bolognesi, generale Carlo Zucchi, decise allora di ritirarsi lungo la via Emilia con circa 4.000 uomini.
Il 25 marzo la sua retroguardia fu attaccata dagli austriaci presso Rimini, ma riuscì a resistere per alcune ore e ad infliggere al nemico notevoli perdite.
Giunto a Fano il 26, Zucchi ricevette però la notizia che il governo aveva firmato ad Ancona la capitolazione con il cardinale Benvenuti, incaricato fin dalla metà di febbraio dal governo papale di ristabilire l’ordine nelle province insorte, ma fino a quel momento tenuto prigioniero. Benché, in seguito a tale fatto, le truppe guidate da Zucchi avessero deposto le armi, il comando austriaco rifiutò di sospendere le operazioni e procedette all’occupazione di Ancona, avvenuta tre giorni dopo.
La rivoluzione, finita in poche settimane, lascio quindi spazio alla reazione: particolarmente violenta nel Ducato di Modena, essa culminò con la condanna a morte di Ciro Menotti, eseguita il 26 maggio.