di Giuseppe Garibaldi
(dal Poema autobiografico)
Sulle tue cime di granito, io sento
Di libertade l'aura, e non nel fondo
Corruttor delle Reggie, o mia selvaggia
Solitaria Caprera. I tuoi cespugli
Sono il mio parco, e l'imponente masso
Dammi stanza sicura ed inadorna,
Ma non infetta da servili. I pochi
Abitatori tuoi ruvidi sono,
Come le roccie che ti fan corona,
È come quelle alteri ed isdegnosi
Di piegar il ginocchio. Il sol concento
S'ode della bufera in questo asilo,
Ove né schiavo né tiranno alberga.
Orrido è il tuo sentier, ma sulla via
Dell'insolente cortigiano il cocchio
Non mi calpesta, e l'incontaminata
Fronte del fango suo vil non mi spruzza.
lo l'Infinito qui contemplo, scevro
Dalla menzogna, ed allor quando l'occhio
Mi si profonda nello spazio, a Lui
Che il seminò di Mondi un santuario
Erger sento nell'anima: scintilla
Vicinissima al nulla, ma pur parte
Di quel tutto supremo. Oh! si, di Dio,
Si! particella dell'Eterno sei,
Anima del proscritto!