Manfredo Fanti - carte de visite - Museo centrale del Risorgimento - Roma |
Dopo la sconfitta dell’esercito pontificio a Castelfidardo e la presa di Ancona, Vittorio Emanuele II assunse il comando supremo delle forze militari sarde, il 3 ottobre, e, con al fianco il ministro dell’Interno Luigi Carlo Farini e il ministro della Guerra Manfredo Fanti, varcò i confini del Regno borbonico il 10 ottobre 1860.
L’esercito sabaudo avanzò lungo la costa adriatica e si diresse verso la Terra di Lavoro, dove erano stati inviati, per ostacolare l’avanzata piemontese, un migliaio di soldati borbonici, comandati dal generale Luigi Scotti-Douglas, supportati anche da alcune migliaia di contadini insorti, le cui ribellioni, ormai, si stavano diffondendo sempre più nel Molise, nell’Abruzzo e nel Sannio.
Il 17 ottobre, infatti, una colonna di circa 1.200 volontari comandata da Francesco Nullo, partita da Maddaloni per ristabilire l’ordine, venne attaccata e sconfitta, fra le gole di Pettorano e Castelpetroso, vicino Isernia, da alcuni reparti borbonici affiancati da migliaia di contadini insorti.
Tre giorni dopo, però, il 20 ottobre, le truppe sabaude comandate dal generale Cialdini sconfissero i borbonici e le bande contadine al passo del Macerone ed occuparono Isernia. Nei giorni successivi l’esercito piemontese occupò Venafro e si diresse verso Capua mentre le truppe borboniche, temendo di essere accerchiate, si ritirarono verso il fiume Garigliano lasciando soltanto una guarnigione a Capua.
La ritirata dei borbonici permise a Garibaldi, con i suoi uomini, di passare il Volturno il 25 ottobre e di avanzare verso Teano per incontrare l’esercito piemontese.
Il generale, che veniva da Caiazzo, e Vittorio Emanuele II, che veniva da Venafro, si incontrarono, la mattina del 26 ottobre 1860, lungo la strada che porta a Teano, al quadrivio di Taverna della Catena, presso Vairano, nel punto dove si incontrano le strade di Cassino-Calvi e Venafro-Teano.
Dopo aver cavalcato insieme per alcuni chilometri, scesero da cavallo, probabilmente nei pressi del ponte di Caianello, e continuarono la loro conversazione seguiti dai loro ufficiali. Poi ripresero a cavalcare e arrivarono a Teano dove il re si diresse verso Palazzo Caracciolo mentre Garibaldi si avviò in una stalla ai margini del paese.
Vittorio Emanuele II, nel colloquio con Garibaldi sulla strada per Teano, gli comunicò che le operazioni militari, da quel momento, sarebbero state condotte dall’esercito regio e che avrebbe concesso ai volontari di essere soltanto la riserva delle truppe che combattevano sul Volturno.
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C. Ademollo - Incontro di Garibaldi e Vittorio Emanuele - 1878 - dipinto - Museo di Capodimonte - Napoli |
Per i liberali, Cavour in testa, era fondamentale dimostrare alle diplomazie europee che l’avventura rivoluzionaria era finita e che l’ordine politico-sociale veniva garantito da una monarchia che metteva fine alla dittatura garibaldina e si poneva come argine per l’invasione dello Stato pontificio e di Roma.
L’intransigenza sabauda, probabilmente, era il pegno che andava pagato nei confronti delle diplomazie europee che vedevano nella formazione dello Stato nazionale italiano un pericoloso sovvertimento dell’assetto internazionale elaborato dal Congresso di Vienna.
L’incontro tra il re Vittorio Emanuele II e Garibaldi, che una retorica celebrativa ha spesso rappresentato come il risultato della concordia tra le differenti forze politiche che concorsero all’Unità d’Italia, significò, piuttosto, il definitivo passaggio della leadership del processo di unificazione nazionale dai democratici ai liberali.
D’altronde il rapporto di forze tra i mazziniani e i garibaldini, da un lato, e il “partito” liberal-monarchico, dall’altro, era già stato profondamente modificato con l’indizione dei plebisciti che, il 21 ottobre, avevano certificato l’annessione del Mezzogiorno continentale e della Sicilia al Regno sabaudo.
Lo svolgimento dei plebisciti, infatti, ponendo fine alle forti tensioni che, sin dal mese di giugno, avevano contrapposto i fautori dell’annessione dei territori conquistati, come il marchese Giorgio Pallavicino, ai sostenitori dell’Assemblea costituente aveva di fatto sanzionato la vittoria e l’egemonia moderata sul processo di unità nazionale.
A. e G. Cassioli - L'incontro di Teano - 1886-1888 ca. - affresco - Palazzo Pubblico - Siena |
D’altro canto, l’evoluzione dei combattimenti sul Volturno aveva già fatto comprendere a Garibaldi dell’assoluta necessità, per le sorti della campagna militare, dei battaglioni sardi. E infatti, la sua prima richiesta a Vittorio Emanuele II, non appena il re varcò il Tronto, consistette nel riconoscimento dei gradi per i suoi ufficiali.
Inoltre, Garibaldi era ben consapevole, che lo svolgimento dei plebisciti il 21 ottobre aveva segnato non solo la sconfitta di coloro che volevano l’Assemblea costituente, ma anche dei mazziniani più intransigenti che volevano portare la rivoluzione nello Stato pontificio per andare alla conquista di Roma.
I margini di iniziativa per Garibaldi, una volta esclusa ogni ipotesi di conflitto fratricida con le truppe regie, si erano dunque ridotti soltanto all’attesa di Vittorio Emanuele II e dell’esercito piemontese. L’incontro tra il “duce dei Mille” e il re sabaudo sancì, però, anche l’inizio di quel processo di emarginazione dei garibaldini dalla scena politica e militare nazionale che caratterizzò gli anni successivi l’Unità d’Italia.
Nel volgere di poco tempo – anche se i volontari collaborarono alla presa di Capua sotto il comando del Generale Enrico Morozzo Della Rocca – l’Esercito meridionale garibaldino venne sciolto aprendo un lungo periodo di polemiche e di contrasti politici.