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© Farabolafoto, Milano |
Dire che è stata una disegnatrice di moda è riduttivo. Bruna Mateldi Moretti, per tutti semplicemente Brunetta, è stata soprattutto una curiosa degli altri, un’osservatrice. Un’artista che ha usato block notes e matita per esprimere il suo senso dell’umorismo, a volte anche crudele. Il primo disegno? Un branco di galline con borsetta e cappello. Erano le signore di Ivrea a passeggio.
Figlia di un musicista, Brunetta cresce nella cittadina piemontese. Dopo il liceo artistico frequenta l’Accademia di Belle Arti prima a Torino e poi a Bologna. Fondamentale l’incontro, quando è ancora giovanissima, con Filiberto Matedi, elegante caricaturista ed esponente del periodo della Scapigliatura.
Brunetta, che comincia a fare bozzetti pubblicitari e a disegnare per i giornali, alla moda si avvicina quasi per caso, illustrando nel ‘25 i modelli del sarto Paul Poiret. Disegni stravaganti, quasi surreali, che la mettono in luce anche a livello internazionale. Diana Vreeland, mitica direttrice di Vogue, vorrebbe portarla a New York, ma lei non vuole lasciare il marito, ormai malato da tempo. Recupererà nel 1959, quando diventerà collaboratrice di Harper’s Bazaar.
La fotografia non è ancora egemone, e i suoi schizzi trovano ospitalità su vari giornali, dalla Gazzetta del Popolo fino al Corriere della Sera. Alle sfilate quella di Brunetta è ormai una presenza fissa, le sue rubriche seguitissime. La moda, che lei definisce «l’utilità delle cose inutili» è un pretesto per raccontare le donne. Così nasce in tandem con Camilla Cederna la rubrica dell’Espresso “Il Iato debole”, dal ‘56 al ‘76. Cederna racconta nei suoi brevi ritratti i nuovi snob, Brunetta li fissa col suo segno nero, essenziale. Spesso grottesco.
Sfogliando le decine di pubblicazioni che sono state dedicate ai suoi schizzi, e forse la più completa è Il vizio di vestire, una raccolta delle Edizioni delle donne, ne esce una galleria delle italiane nel corso di oltre cinquant’anni. Da quelle dell’anteguerra, languide e fatali, alle prime ragazze in minigonna, nei Sessanta, desiderose di vita, piene di speranza. Fino alle nuove arrampicatrici dei Settanta. Donne vivaci, vincenti, ma anche fragili, dubbiose. A Brunetta per raccontarle bastava disegnare un dettaglio. Una lieve smorfia, un sopracciglio alzato, un occhio sfuggente. «Perché le mie», sottolineava sempre, «sono “osservazioni”».
Cristiana di San Marzano