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«Tutti i bambini del mondo nascono facendo “uè uè” ma tu sei nata gridando no!»
E questa la frase d’esordio di un libro scritto da Adele Faccio nei primi anni Ottanta, in cui l’autrice, mescolando dati autobiografici e motivazioni politiche, racconta il dipanarsi di vicende ed emozioni sul filo della propria natura ribelle e libertaria, usando il piglio battagliero e non proprio modesto che caratterizza tanti suoi scritti.
“No, no e no”: no ad un’impostazione dogmatica dell’esistenza, no ad un’interpretazione fideistica della politica, no alla cieca obbedienza. Potrebbero essere queste le direttrici di un percorso umano, intellettuale e politico, contraddistinto da un impegno tenace nella comprensione dei fenomeni sociali e da un’attenzione costante e partecipativa ai fermenti sociali e culturali d’avanguardia.
In opposizione, sempre, a qualsiasi forma di oppressione e autoritarismo, non solo Adele ha immaginato soluzioni alternative ad un sistema sociale da lei ritenuto arretrato e inadeguato, ma ha saputo tradurre la sua capacità immaginativa in azione civile e politica. Il suo libertarismo quasi anarchico non si esauriva nella protesta, ma si incanalava puntualmente in un’attività costruttiva, sebbene vissuta sull’orlo della disobbedienza, organizzata dal basso e destinata a suscitare reazioni piuttosto dure tra le file dell’“avversario”.
Gli anni Settanta sono stati senza dubbio il suo momento di maggiore visibilità. Femminista, ha trovato nel Partito radicale un insostituibile alleato nella lunga battaglia per la liberalizzazione dell’aborto, e in Marco Pannella un sapiente regista, per quella che è stata una straordinaria operazione mediatica. La collaborazione, iniziata già nella seconda metà degli anni Sessanta con l’Aied – associazione promotrice di clamorose iniziative mirate alla diffusione della contraccezione – si è approfondita nel 1973 con la fondazione del Cisa (Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto).
Il Cisa, unito al PR da un rapporto di federazione, è stato, in quegli anni, un fondamentale punto di riferimento per moltissime donne che si sono rivolte alle sue strutture per abortire in condizioni di sicurezza. Le cliniche collegate all’organizzazione sfidavano la legge, operando alla luce del sole, e costituivano la prima realizzazione concreta di uno spazio autonomo nel quale le donne potevano confrontarsi e solidarizzare, in cui potevano essere ascoltate e riconosciute come abitatrici di un dramma e non criminali; uno spazio in cui al peso comunque gravoso della scelta non si sovrapponeva quello schiacciante del senso di colpa. Ma il Cisa è stato anche lo strumento di un’esplicita e consapevole provocazione politica. Con la sua azione di disobbedienza civile, la Faccio ha fatto esplodere, portandola all’attenzione dell’opinione pubblica, la scandalosa piaga del mercato degli aborti clandestini.
Insieme a Pannella, Adele costruì una vera e propria strategia della sorpresa, non escludendo alcuna mossa. Con uno studiato coup de théatre, si fece arrestare a Roma, nel Teatro Adriano, il 26 gennaio del 1975, mentre si svolgeva la giornata conclusiva di una conferenza internazionale sull’aborto a cui erano presenti numerose delegazioni straniere. Riuscì così a far scoppiare lo scandalo: foto su tutti i giornali, i radicali e le loro iniziative alla ribalta, per la Faccio 36 giorni nel carcere di S. Verdiana a Firenze. Pugnace e polemica come al solito, in carcere non perdeva occasione per diffondere le proprie idee tra le detenute e per criticare quelle norme, derivazioni del “sistema patriarcale” per cui, mentre il segretario del PR Gianfranco Spadaccia in cella poteva leggere i giornali e utilizzare una macchina per scrivere, per lei «l’unica macchina ritenuta adatta era quella per cucire».
L’arresto e le polemiche che ne seguirono hanno rappresentato, nella lotta per l’aborto, un doppio momento di svolta: hanno segnato il punto di non ritorno per una questione che non poteva più essere elusa o procrastinata dalle istituzioni, e d’altra parte hanno portato cambiamenti importanti all’interno del Cisa e della sua gestione. Una volta tornata in libertà, infatti, la Faccio trovò quella realtà profondamente cambiata, sempre più organizzata sul modello dei “collettivi” e, nel fare gli aborti, sempre più improntata al self-help, pratica per cui le donne, grazie al metodo Karman, potevano impadronirsi delle tecniche di interruzione della gravidanza senza più ricorrere all’ausilio dei medici.
Ma una nuova leadership si stava delineando: l’intenzione di Marco Pannella era di concedere sempre maggiore spazio ad Emma Bonino, da tempo capace e giovane collaboratrice della Faccio. Anche per questo, nonostante l’impegno parlamentare tra le file dei radicali con l’obiettivo di far approvare una legge il più possibile corrispondente alle proprie convinzioni, il suo peso carismatico
e politico è andato scemando, fino a quando, affaticata dai tanti anni di attivismo e delusa dalla legge 194, che considerava irrispettosa delle più profonde esigenze delle donne e inadeguata alle reali condizioni del paese, ha lasciato la vita pubblica piuttosto silenziosamente.
A leggere i suoi appunti, il contributo al pensiero femminista appare più che altro la logica conseguenza dei suoi ideali libertari. La lotta per l’affrancamento delle donne dal «sistema patriarcale» è stato infatti il punto di arrivo di un percorso tutto inteso a contrastare un’organizzazione sociale coercitiva, fondata sull’«oppressione delle masse», sulla mistificazione, sulla violenza delle armi e ancora più sull’estraneità fra gli esseri umani. Lontana dalle più articolate e complesse teorizzazioni del pensiero delle donne, si è fatta interprete di un femminismo (il solo a suo avviso efficace) «ideologicamente aggressivo ma limpidamente umano», capace di combattere non solo una legislazione contro la donna ma soprattutto una mentalità diffusa che ne impediva espressione e sviluppo autonomi.
Adele Faccio è nata a Pontebba, in provincia di Udine, il 13 novembre del 1920. Laureatasi all’Università di Genova in lettere e filosofia nel 1943, ha ricoperto il ruolo di assistente presso la cattedra di filologia romanza e ha insegnato la lingua spagnola all’Istituto Superiore di Magistero della città. Gli anni della guerra hanno rafforzato i suoi convincimenti sulla necessità di coinvolgere le donne nelle occupazioni produttive e culturali, ma l’hanno portata anche, grazie all’impegno come “staffetta” partigiana, a contatto diretto con la sofferenza indicibile causata dalla guerra.
Con la scoperta delle forme di resistenza non-violenta organizzate nella Spagna franchista, il processo di maturazione ideologica e politica di Adele fece un ulteriore passo avanti. I suoi interessi professionali, infatti, la condussero a Barcellona, dove l’amore per il pittore Pere significò immediatamente passione per la causa anti-franchista, unita ai presupposti della disobbedienza civile e della resistenza non-violenta. Qui divenne anima di un’intensa attività culturale, realizzata con l’ausilio della rivista Occident. Tornata in Italia nel 1953, a seguito di una grave malattia che la costrinse ad un lungo periodo di riposo, riprese ad insegnare, sempre convinta del fatto che la scuola dovesse essere un «luogo vivo», capace di coinvolgere i giovani discutendo con loro dei temi concreti della vita.
Gli anni Sessanta sono quindi trascorsi tra l’impegno di una maternità scelta con gioia, nonostante il mancato sostegno del compagno, ed un intenso lavoro editoriale: collaboratrice di numerose riviste d’avanguardia (Il Canguro, Il Discanto, La via femminile) ha tradotto numerosissimi testi di poesia, prevalentemente di ispirazione politica, tra cui figurano anche testi di Che Guevara.
Elisabetta Remondi