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Franca Valeri nel 'Il segno di Venere' di Dino Risi, 1955 |
Il mondo femminile, caotico macrocosmo fatto di solitudini e trionfi di parole, disastri del quotidiano, nevrosi, logorio di giorni sempre uguali, ipocrisie, debolezze nascoste dietro la forza di uno spirito caustico in cui si annida il dolore.
Da più di cinquant’anni Alma Franca Maria Norsa, in arte Franca Valeri (per un omaggio all’amato poeta Paul Valéry), ha dato voce e corpo a finte intellettuali, “preziose ridicole” e petulanti signore di borgata, anticipando, già dal tramonto degli anni Quaranta, molto prima del boom economico che rifece il trucco all’Italia, il disagio esistenziale delle donne, i loro sogni, il perenne senso di inadeguatezza. Attrice teatrale e cinematografica, autrice, regista, è passata con disinvoltura dal palcoscenico alla televisione al cabaret.
Nel primo dopoguerra presenta nella trasmissione radiofonica Il Rosso e il Nero due tra le sue creature più note, la milanese “signorina snob” e la figlia della “sora Augusta, maritata Cecioni”. Il 1950 è l’anno del suo debutto cinematografico con Luci del varietà, diretto da Federico Fellini e Alberto Lattuada.
Insieme al marito Vittorio Caprioli (dal quale divorzierà nel 1974) e Alberto Bonucci fonda nel ‘51 la Compagnia del Teatro dei Gobbi. Sono anche gli anni del grande teatro con Strehler, De Lullo, Giovanni Testori, che per Franca Valeri scrive la Maria Brasca (1960), storia di una giovane operaia.
Diretta da Dino Risi interpreta Cesira, cugina bruttina di una florida Sofia Loren, nel film Il segno di Venere (1955), sceneggiatura di Ennio Flaiano e Cesare Zavattini. Il ruolo di Cesira le permette di sottolineare la sua vena autoironica e malinconica evidente sia nel film Il vedovo (1959, regia di Risi) accanto ad Alberto Sordi che in Crimen (1960) di Mario Camerini al fianco di Nino Manfredi.
Negli anni Settanta si allontana dal cinema per dedicarsi al teatro e alla scrittura, passioni originarie. Come i grandi Commedianti dell’Arte che hanno fondato la tradizione italiana tra il XVI e il XVII secolo, la Valeri continua nella vocazione letteraria, quasi sempre imprescindibile dal mestiere d’attore.
Le voci dei suoi personaggi femminili sono aumentate: il suo sguardo impietoso sul provincialismo e la volgarità arricchita ha concesso alla risata di esorcizzare il ridicolo accompagnato alla tragedia della quotidianità noiosa e beffarda. Deboli e indistruttibili, resistenti e logorate, le sue donne sono autentiche nel mentire e nascondersi, nel proteggere o nel prendere le distanze dalle cause del loro malessere.
«Ho sempre cercato di riprodurre quello che è stabile nell’animo umano, i sentimenti, le emozioni delle donne di qualunque epoca e età. Le mie donne, in fondo, sono personaggi molto tristi visti da un’altra angolatura».
Autrice di sketch esilaranti entrati nella storia del teatro e della televisione, di due atti unici (La cocca rapita e La cosiddetta fidanzata) e di quattro commedie (Le catacombe, Meno storie, Tosca e le altre due, e l’ultima scritta nel 1996, Sorelle, ma solo due), questa madre spirituale di tutte le attrici comiche italiane, oltre la soglia degli ottant’anni, ha scritto un monologo geniale intitolato La vedova di Socrate, liberamente ispirato a La morte di Socrate di Friedrich Dürrenmatt.
Con ironia sferzante e corrosiva la Valeri mette in scena Santippe e dice: «Le vedove hanno il cognome del marito che le contraddistingue. Per Santippe Socrate non è il mito che è per il resto dell’umanità d’ogni tempo, ma è solo suo marito, un uomo bizzarro con qualità sessuali dubbie, a cui lei è comunque legata, perché, come ammette lei stessa, “i mariti ti fanno fare i figli, sporcano, gli devi dare da mangiare, parlano solo con gli altri, però a quella faccia in casa ti abitui”».
Prolifica, reduce da successi teatrali come Possesso di Yehoshua dove è una madre invadente ed egoista, e da Mal di ma(d)re di Pierre Oliver Scotto, l’inesauribile, minuta signora dall’eterno caschetto castano che sottolinea lo sguardo penetrante, dichiara fiera: «L’umorismo, l’ironia, sono abbastanza rari, anche nel mondo dello spettacolo. In giro c’è molta comicità, soprattutto televisiva, ma pochissima ironia. Io sono contenta di aver avuto questo dono dalla natura».
Myriam D’Ambrosio