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Foto cortesia L'Unità - Archivio storico |
«Chi è costui? Assolutamente nessuno. È l’equivalente delle donne seminude che si vedono sulle copertine dei rotocalchi».
Con questa didascalia, si “spiegava” la foto di copertina del numero zero di Effe: un giovanotto bruno capelluto e arruffato, torace nudo (all’epoca, ancora, i maschi non si denudavano sui giornali) e il primo bottone dei jeans slacciato: è il 1972, e un gruppo di donne, alcune giornaliste, altre leader dei gruppi femministi che si vanno formando in Italia, altre, semplicemente (ma non meno faticosamente) donne “emancipate”, provano a lanciare il primo rotocalco italiano di “controinformazione al femminile”.
La direttrice responsabile di Effe è Gabriella Parca, serissima giornalista impegnata già da decenni in una caparbia e spesso solitaria battaglia per l’emancipazione femminile, e così presenta la nuova pubblicazione nel suo editoriale: «Ideato, diretto e realizzato da donne [... ] EFFE è il primo giornale, in Italia, che vedrà il mondo con occhi di donna [... ]. Che cosa vuol dire EFFE? F è la lettera iniziale di femminismo, il movimento al quale si ispira. [... ] Sappiamo che in molti questo termine suscita immagini di aggressività ed isterismo, ma solo perché il femminismo viene sempre presentato in modo volutamente distorto. [... ] (Ma) per noi di EFFE il femminismo è innanzitutto un nuovo umanesimo [... ] (e) siamo convinte che solo attraverso la liberazione della donna si possa arrivare ad un reale, autentico rinnovamento della società».
Quando EFFE arriva poi in edicola, con cadenza mensile – nel novembre del 1973 – Gabriella Parca ha rinunciato alla direzione: la nuova rivista, pubblicata da Dedalo (l’editore barese Diego Donato), si basa sul lavoro volontario (cioè non retribuito) del collettivo redazionale, e la Parca, forte della sua già collaudata esperienza professionale, considera – e forse non a torto – che la scelta di lavorare gratis non faccia altro che confermare la subalternità femminile nella società italiana, quasi acconsentendo all’idea che per le donne il lavoro sia soltanto un “lusso” o un “capriccio”.
Gabriella Parca era nata in un piccolo paese dell’alto Lazio, a Castel di Torà, Rieti, nel 1926. Laureata in lettere, debutta nel giornalismo nel 1945 come cronista di “nera” del quotidiano di Firenze, il Giornale del mattino. Ma la popolarità le arriva dal libro-inchiesta Le italiane si confessano, che raccoglie un centinaio di lettere indirizzate alle sue seguitissime rubriche di “Piccola posta”, ospitate da due giornali a fumetti (all’epoca la lettura più diffusa tra le donne che compravano un giornale all’edicola e, spesso, se lo passavano tra amiche).
Il libro ha avuto, successivamente, quindici edizioni ed è stato tradotto e pubblicato in Francia, Argentina, Germania, Inghilterra, Giappone, Olanda, Stati Uniti.
Ma, come precisa la Parca, nella prefazione all’edizione dei Tascabili Feltrinelli del 1973, quando esce per la prima volta, «nella tarda primavera del 1959, nessuno se ne accorse. Quando passai dal mio libraio, per sapere come andavano le vendite, indicandomi la pila di volumi ancora intatta, mi disse con un sorriso buono ma poco convinto: “Sa, è uno di quei libri che si leggeranno in seguito... ”».
È un articolo dell’autorevole critico letterario de L’Espresso, Paolo Milano, su cui si innesta perfino una polemica dell’Osservatore Romano, a decretarne il successo. Che tuttavia ferisce l’autrice: «Una gragnuola di articoli – scrive rievocando quella prima edizione del libro – che mi colpirono come sassate, perché se da una parte si gridava quasi al miracolo perché una donna aveva dimostrato tanto coraggio da affrontare il tabù del sesso, dall’altra mi si accusava di essere una maniaca sessuale». Soltanto cinque anni dopo, nel 1964, Pier Paolo Pasolini, con il suo documentario, Comizi d’amore, avrebbe tracciato una mappa della sessualità degli italiani e delle italiane, una sessualità “ruspante”, e in larga parte “analfabeta”, per la quale tuttavia il magnifico cantore dell’Umile Italia, mostrava più di una intenerita indulgenza.
Ed infatti Pasolini, anche lui, ha, se non ferito, certamente snobbato l’autrice de Le italiane si confessano, trovando “estremamente divertenti” le lettere (tutte femminili) raccolte e analizzate dalla Parca. Che infatti si chiede: «Ma che cosa l’avrà divertito tanto? La ragazza che pensa di suicidarsi perché ha perduto la sua verginità, o quella che vuole uccidere il fidanzato perché gliel’ha fatta perdere?».
Un altro intellettuale – Cesare Zavattini – rimane impressionato dal libro (e forse più correttamente del poeta de La meglio gioventù), tanto da scriverne la prefazione affermando: «L’Italia è ancora un grande harem». E, più tardi, Zavattini, dal libro di Gabriella Parca, avrebbe tratto un film ad episodi, Le italiane e l’amore.
L’indagine della giornalista e scrittrice sulla relazione uomo-donna nel nostro paese continua con I sultani – Mentalità e comportamento del maschio italiano (Rizzoli Editore, 1965). I risultati della ricerca, realizzata da una équipe attraverso interviste personalizzate, condotte su un campione di 1018 uomini di 14 regioni italiane, sono sconfortanti: in questi primi anni ‘60, il 66% degli intervistati pretende la verginità della ragazza da sposare e, contestualmente, ed in proporzione ancora maggiore, il 71% ritiene suo diritto frequentare le prostitute prima del matrimonio (l’81% rimpiange le case chiuse, abrogate nel 1959). Infine, una percentuale del 51% si confessa adultero.
Nel 1969, Gabriella Parca pubblica I separati, (in Italia non esiste ancora il divorzio), nel 1972 Voci dal carcere femminile: è un’indagine sulla popolazione carceraria femminile – cui fino a quel momento nessuno aveva guardato in quella che oggi si definirebbe “l’ottica della differenza”.
Nell’‘84, infine, con I divorziati, l’autrice ripercorre le tappe del tormentato approdo italiano all’istituto del divorzio (tredici proposte di legge dall’Unità d’Italia a quel primo dicembre del 1970 in cui il Parlamento approva in via definitiva una legge che introduce nella nostra legislazione ciò che viene chiamato pudicamente “scioglimento del matrimonio”); e quattro anni dopo, il referendum del 12 maggio 1974, voluto, e perduto, dai cattolici più oltranzisti, svela quanto la società italiana, e soprattutto le donne, siano cambiate.
Poiché tutti i libri più significativi della Parca sono stati ripubblicati varie volte, almeno fino all’inizio degli anni Novanta, e sempre arricchiti dalle sue puntuali, nuove prefazioni, si può bene affermare che l’opera complessiva di questa ostinata, ma sempre ragionevole, “combattente” sul fronte dell’emancipazione femminile, costituisce una traccia preziosa per ripercorrere la storia delle italiane (ma anche della legge e del costume del Paese) negli ultimi cinquant’anni.
Adele Cambria