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© Riccardo De Antonis |
Siamo sul terrazzo della casa bianca e assolata di Elisa al mare e conversiamo, cerco di sollecitarla, di farla parlare del suo lavoro, vorrei far nascere dalle sue parole la presentazione del suo “fare arte”. Lei divaga, si distrae, ma tra tante parole arrivano quelle giuste e come per caso in un breve tempo ripercorriamo i temi e i modi del suo lavoro.
La Montessori nasce a Genova nel 1931, compie studi classici e si laurea in lettere, nella sua vita movimentata si sposta da Genova a Milano, e da Milano a Roma. Ha tre figlie nate da due matrimoni, il primo con uno scienziato cinese, il secondo con un importante architetto, due valenze, due aspetti che ritroviamo nel suo lavoro.
Da giovane viene a Roma e nell’ambiente artistico frequenta Afro, Cagli e Mirko. In quel periodo di conflitto tra astrattisti e figurativi vive una situazione di marginalità, non facendo parte la sua espressione di nessuna delle due correnti.
L’isolamento è una costante del percorso artistico della Montessori perché non è mai stata inserita in una tendenza o in un gruppo, e nel periodo in cui inizia la sua attività, questa scelta è penalizzante, essendo, inoltre, una donna. Malgrado ciò non le manca l’attenzione della critica e la partecipazione ad importanti mostre come le Quadriennali, la Biennale di Venezia, la Biennale di S. Paolo in Brasile.
Elisa racconta che da sempre, fin da bambina, disegna molto e da questo modo di esprimersi nasce la sua attività di artista. È il segno che rimane nel tempo l’elemento essenziale del suo fare. L’altro elemento protagonista nella composizione è il rapporto con lo spazio del foglio o della tela, che è sempre bidimensionale. Tutto avviene sulla superficie della tela, non c’è profondità, non c’è idea di spazio prospettico.
I segni sembrano emergere frammentari come da un ricordo, sono tratti insistiti che si rincorrono addensandosi e diradandosi. Tutti insieme formano un disegno unitario, spesso un paesaggio, sono immagini molto mentali come una visione ricordata stando ad occhi chiusi.
Per tanto tempo il colore rimane un aspetto secondario, si affaccia a volte con leggerezza, creando sorpresa in un campo grafico, dove spesso il fondo non è dipinto: il segno deciso si presenta sulla tela nuda. La pittura matura molto più tardi e dilaga negli anni Ottanta, il colore è un fatto passionale, legato a un maggiore abbandono.
Forse anche lo spazio fisico dello studio dove lavora l’artista permette delle diverse espressioni. La Montessori, che aveva sempre dovuto conquistare lo «spazio rubato» dalla vita quotidiana familiare, con il nuovo studio e la libertà dell’età, trova una rinnovata capacità espressiva.
L’osservazione della forma e della struttura di elementi naturali, quale una foglia o una roccia, può essere l’elemento dominante di un suo quadro, e come nello sguardo dei pittori orientali, il gesto nasce dalla concentrazione che precede il segno, deriva dalla consapevolezza della forma osservata e assimilata in precedenza.
Della cultura visiva orientale l’artista conosce molto bene il valore del vuoto, che in quanto pausa, scansione, è importante quanto il pieno. Dall’equilibrio di questi due elementi nasce l’armonia della composizione quale quella nella musica o nella poesia. Nella Montessori troviamo spesso un rapporto con la poesia. È un raffronto tra la parola e l’immagine, che permette il dialogare di due codici diversi pur nelle profonde analogie.
Negli ultimi anni la curiosità di sperimentare porta la Montessori ad esprimersi anche con il mosaico e a riprendere un vecchio amore per la ceramica, con la quale realizza varie opere. Anche attraverso queste diverse tecniche non viene mai meno lo stile riconoscibile dell’artista: l’imprevedibile macchia di colore, il fluire delle linee nell’eleganza del segno che insieme descrive, dettaglia, ed è sintetico.
Daniela Ferraria