» Mursia Giancarla  
1920
 

 

 
© Farabolafoto, Milano  

Di lei si era detto e scritto sempre come di una vincente. Donna di ferro ma brillante ed estroversa, editore di successo, vincitrice di premi (un Campiello, un Viareggio, moltissimi riconoscimenti per la letteratura giovanile), grande oratrice, impegnata nel sociale e in politica, consigliere comunale per il PRI a Milano, assessore all’Istruzione. Che volere di più.

Giancarla Re Mursia, classe 1920, nata ad Alassio ma piemontese fino al midollo, una laurea in filosofia quando le donne non studiavano, una militanza nella Resistenza, era diventata il simbolo della donna emancipata in voga negli anni Settanta e nei rampanti Ottanta, che era riuscita a coniugare una intensa attività professionale e civile con gli impegni familiari.

Non è vero niente. Lo dice lei stessa. Giancarla Mursia lo ha scritto in una nota autobiografica dura, che fa impressione leggere e che riporto integralmente perché non saprei dove tagliare:

«Ho preteso il massimo da me stessa e non ce l’ho fatta. Oggi se mi guardo indietro, mi sento soddisfatta come editrice e realizzata come moglie; sono tragicamente fallita, invece, come madre. So di essere per natura dura, capace, ambiziosa. So di riuscire a raggiungere gli obiettivi che mi pongo, almeno sul piano professionale. Forse perché sono piemontese e ho i piedi per terra. Ma forse anche perché, in tutta la vita, sono stata trascinata da un grande amore che condividevo con mio marito Ugo: l’amore per la casa editrice che abbiamo fondato dal nulla alla fine della guerra, con quattro soldi e lavorando come cani. Quando io e Ugo siamo arrivati nella Milano in macerie da Padova, dove ci eravamo conosciuti all’università, ero incinta del mio primogenito, Silvio, e pensavo che avrei fatto un mestiere defilato, l’insegnante di filosofia, per dedicarmi con tranquillità alla famiglia. Poi Ugo ha aperto l’ufficio al piano terra della nostra casa e scendi oggi, scendi domani, quel lavoro è diventato la mia vita. Una vita febbricitante. Lavoravamo il sabato e la domenica, a Natale e a Pasqua, senza orari, senza soste. Ugo era l’anima dell’azienda ma odiava apparire in pubblico, odiava le relazioni esterne. Mandava avanti me a parlare con gli autori, a concedere interviste ai giornali o in tivù. Io sempre in prima fila a prendere applausi e fischi, lui silenzioso dietro le quinte. Sono stata 15 anni in consiglio comunale, ho fatto parte del consiglio d’amministrazione della Scala, sono stata la prima donna a presiedere l’Associazione italiana editori. Anche in casa ho sempre tenuto le fila di tutto, perché sono pignola e ho la mania dell’ordine. A mio marito non ho mai fatto mancare nulla. Sono stata una moglie fedele e attenta. Ma tutto quello che ho dato a lui e al lavoro l’ho tolto ai figli. Sono stata una pessima madre. Per 26 anni ho affidato Silvio e Fiorenza a un’istitutrice, una donna severa e all’antica. Non che non li seguissi, anzi; da loro pretendevo il massimo a scuola, ero inflessibile sul latino e il greco e controllavo con rigore le loro versioni. Ma quando, da bambini, andavano a sciare o a giocare a tennis, io non c’ero. Non mi interessava, non avevo mai tempo, e tanto meno ne aveva mio marito. Da un lato ero una madre assente, dall’altro ero assai ingombrante sul piano psicologico. Mi aspettavo così tanto da loro, che alla fine hanno risentito di questa continua, insostenibile pressione da parte mia. Oggi purtroppo è tardi per tornare indietro e recuperare un rapporto affettivo che non c’è mai stato, almeno con mia figlia, che ha sofferto più del fratello del confronto con me. Con Silvio, forse, prima o poi riuscirò a parlare. Gli spiegherò che, se è vero che ho sbagliato, l’ho fatto in buona fede. Spero che lo capisca».

L’inevitabile epilogo della vicenda è che oggi la Ugo Mursia editore è in mano alla figlia Fiorenza. Madre e figlia sono da tempo ai ferri corti, Giancarla ha guidato la casa editrice dalla morte del marito nel 1982 ai primi anni Novanta, quando è uscita malamente da una brutta vicenda giudiziaria. A questo punto viene da chiedersi: tornasse indietro, cambierebbe la sua vita? Ci viene il legittimo sospetto di no.

Questa donna volitiva e autoritaria, che tanto ha fatto per la cultura e per i libri, nonostante i proclami e i mea culpa, rifarebbe esattamente ciò che ha fatto. A più riprese, in varie interviste, aveva rimpianto di non essere rimasta a fare l’uncinetto, diceva che avrebbe voluto essere una vera casalinga, come quelle di una volta, sistemare la biancheria in enormi armadi, fare torte e marmellate e potare le dalie in giardino.

Ma la sua passione per i libri è stata anche la sua malattia, droga e dannazione. Fatale le fu l’incontro con il marito Ugo Mursia, un siciliano sedentario e chiuso nel suo mondo di manoscritti e scartoffie, innamorato di Conrad, che intorno alla letteratura d’avventura e di viaggio ha costruito la fortuna della casa editrice.

La Biblioteca del Mare è stata la collana di punta della Mursia editore e rimane tuttora il fiore all’occhiello della ditta. Un editore ottocentesco, attento al catalogo più che al fenomeno letterario del momento. Libri scolastici, libri per ragazzi, memorialistica e saggistica in genere sono stati il loro punto forte. Con poche incursioni nel pericoloso arcipelago della narrativa: il fiasco più clamoroso una collana di letteratura sovietica “ufficiale”, autori tipo Trifonov, Rasputin, Ajmatov, sconosciuti e snobbati dallo stesso PCI.

Il successo inatteso le Centomila gavette di ghiaccio di Giuseppe Bedeschi, senza dubbio il best seller assoluto della Mursia editore, che dal 1963 ad oggi ha abbondantemente superato i due milioni di copie vendute.

E pensare che il manoscritto era approdato sul tavolo di Ugo Mursia dopo diciassette rifiuti e che Bedeschi non voleva neppure un contratto. «Facciamo felice una persona e non ci roviniamo» aveva detto Mursia, mentre Giancarla lo trovava un libro triste ed era più restia a pubblicarlo. La prima tiratura, tremila copie, andò esaurita in due giorni.

Il sogno di Ugo Mursia era fare il bibliotecario, quello di Giancarla diventare scrittrice. Avida lettrice di romanzi, voleva scriverne uno finché non rimase folgorata da La Storia di Elsa Morante. Chiuso il libro si mise a scrivere una lettera: «Signora, io ho sempre pensato di fare la scrittrice, ma da quando ho letto il suo libro vi ho rinunciato». La Morante le rispose con una gentile lettera di incoraggiamento che, come era prevedibile, non le ha fatto comunque cambiare idea.

Caterina Soffici