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Luisa Spagnoli in automobile con il figlio Armando, Perugia 1924 - Archivio familiare |
Dietro i modi gentili e misurati, dietro l’eleganza sobria e il gusto della riservatezza, c’era un’intelligenza creativa dirompente fatta di antiche abilità femminili e di un desiderio di modernità. In Luisa Spagnoli coesistevano caratteri diversissimi che la rendevano capace di essere profondamente anticonformista nella sostanza, senza mai forzare la forma di una società, quella perugina della prima parte del Novecento, pervasa dal perbenismo.
Diventa così una delle più grandi donne di impresa che l’Italia abbia espresso in una regione economicamente arretrata: fonda infatti i due più importanti gruppi industriali di Perugia, la Perugina e l’Angora L. Spagnoli. Ad una vita pubblica di successo, si aggiunge un’esperienza privata intensa: la separazione dal marito Annibale, l’amore più che decennale con un uomo, Giovanni Buitoni, molto più giovane di lei.
Luisa era nata a Perugia nel 1877 da un padre, Pasquale Sargentini, pescivendolo, e da una madre, Maria Conti, dedita ai figli e alla casa. Poco più che ventunenne sposò Annibale Spagnoli e con lui iniziò la sua avventurosa carriera di imprenditrice.
I due rilevarono una drogheria e, subito dopo, cominciarono a produrre confetti. Nel 1908, insieme a Francesco Buitoni, fondarono la Perugina, una piccola azienda con sede nel centro storico di Perugia e con quindici dipendenti in tutto.
Luisa fabbricava caramelle e cioccolatini con rara capacità. Ma la prova più difficile per lei si presentò con lo scoppio del primo conflitto mondiale quando – come raccontò Giovanni Buitoni – a mandar avanti la fabbrica rimase solo la signora Spagnoli con i suoi due ragazzi, Mario e Aldo. Fu allora che ella rivelò le capacità che dovevano fare di lei il più lungimirante capitano d’industria che Perugia abbia conosciuto. Governò, sola, con saldissima mano, la nave fra flutti procellosi.
A guerra finita la Perugina era già un’azienda con più di cento dipendenti e Luisa cominciò a inventare una miriade di cioccolatini con nomi accattivanti che hanno fatto venire l’acquolina a intere generazioni. Il genio creativo arrivò al suo culmine nel 1922 quando venne alla luce il “Bacio”, a tutt’oggi uno dei prodotti dell’industria dolciaria italiana più conosciuti nel mondo.
E che si trattasse di una trovata straordinaria non lo diceva solo il sapore gustoso, ma soprattutto l’abbattimento dei costi. Luisa Spagnoli, infatti, per preparare quella pasta di cioccolato mescolata a nocciole con la quale riempiva il contenitore al fondente usava gli scarti delle altre lavorazioni. Fu un successo senza precedenti.
Eravamo ormai nel 1923 quando Annibale Spagnoli ruppe con i Buitoni, perché amareggiato dagli scarsi riconoscimenti ricevuti, e li trascinò sino in tribunale. Se il marito lasciava la sua creatura, Luisa restò in Perugina e diventò membro autorevolissimo del consiglio di amministrazione. Si impegnò in modo particolare per far crescere strutture sociali che migliorassero la vita dei dipendenti: fondò fra l’altro l’asilo nido dello stabilimento di Fontivegge che veniva ormai considerato il più avanzato d’Europa nel settore dolciario.
Data da questo periodo l’inizio della sua storia d’amore con Giovanni Buitoni. Era ormai una signora ultraquarantenne, di ben 14 anni più anziana del trentenne capitano d’impresa a cui si legò. Della loro vita privata non si sa quasi nulla: non un carteggio, un diario, né tantomeno cronache mondane, articoli scandalistici. Insomma, nessuna traccia scritta di una affettuosa amicizia che durerà sino alla morte di Luisa. Pochissime anche le testimonianze e i ricordi delle persone più vicine alla coppia che parlano di un legame profondo quanto riservato: i due non andarono mai a vivere insieme. Eppure fu un rapporto intenso, palpitante, di cui Giovanni scrisse una sola volta nella sua biografia con dolcezza e sobrietà.
Mentre la Perugina passava ormai sicura di successo in successo, Luisa cominciò ad applicare il suo inquieto geniaccio ad una nuova impresa: l’allevamento del pollame e dei conigli. Siamo così arrivati alla vicenda industriale dell’Angora. Nel 1930 i conigli dell’allevamento Spagnoli “sbarcarono” alla Fiera di Milano e furono segnalati come “ottimi prodotti”.
Luisa ci credette e moltiplicò gli sforzi per mettere a punto il miglior filato possibile. Si era resa conto che l’Italia puntava su quel settore per emanciparsi dalla carenza di carne e di lana: il fascismo infatti investì in quel campo come in quello delle fibre chimiche. Luisa seguì con passione non solo gli allevamenti di Santa Lucia di Perugia, ma anche gli esperimenti di filatura che sette-otto operaie facevano in un locale a piano terra dello stabilimento Perugina. Si racconta che passasse molte ore in quel laboratorio e che si prodigasse in consigli per le sue lavoranti.
L’invenzione era a buon punto, quando l’imprenditrice accusò i primi sintomi della malattia che l’avrebbe portata alla morte. In tempi brevi le venne diagnostica to un tumore alla gola e la prognosi fu tragica: sei mesi di vita in tutto.
Giovanni Buitoni la trasferì a Parigi perché le venissero garantite le migliori cure e rimase con lei sino all’ultimo giorno. Spirò serenamente a 57 anni, nel 1935, assistita dall’uomo che aveva profondamente amato, insieme al quale aveva costruito le fortune della Perugina. Quanto alla lana d’Angora, Luisa vide solo i primi successi ma non il decollo vero e proprio che iniziò quattro anni dopo la sua morte sotto la guida del figlio Mario, suo erede anche nella straordinaria capacità imprenditoriale.
Gabriella Mecucci