Durante il Risorgimento i protestanti italiani nutrirono la speranza che alla rivoluzione liberal-nazionale si accompagnasse una riforma religiosa. Come ha sottolineato lo storico Giorgio Spini, nella cultura di tanti patrioti, accanto all’idea del popolo-martire, trovò posto anche questa speranza, che assunse due differenti forme: da un lato si auspicò una moderata evoluzione del cattolicesimo in senso evangelico, dall’altro una rivoluzione volta a distruggere il papato.
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Edizione della Bibbia tradotta da Giovanni Diodati |
Sebbene i protestanti costituissero una esigua minoranza nella penisola (appena 32.684 anime, secondo il censimento del 1861), l’influenza che il protestantesimo esercitò sulla cultura risorgimentale fu notevole già dai primi decenni dell’800.
Tale influenza va valutata anzitutto nei termini delle suggestioni e degli influssi culturali che contribuirono alla diffusione, presso l’élite colta dell’epoca, delle idee liberali. In particolare, da questo punto di vista, esercitarono una profonda attrazione sia Londra sia soprattutto Ginevra, capitale del protestantesimo liberale, moralistico e filantropico.
Diversi protagonisti del Risorgimento (da Cavour a Lambruschini, da Mamiani a Ricasoli, da Cattaneo a Ferrari) ebbero contatti stretti con il mondo protestante, e non pochi erano essi stessi di fede protestante. L’influenza del protestantesimo trovò un terreno favorevole soprattutto a Firenze, tramite l’«Antologia» (1821-1833) e il gruppo di letterati che si raccolse intorno all’italo-svizzero e protestante Giovan Pietro Vieusseux.
Ma il protestantesimo esercitò un influsso sul processo risorgimentale anche attraverso l’esperienza dell’esilio cui molti patrioti furono costretti in seguito al fallimento dei moti del 1820-1821 e del 1831. L’esilio nei paesi protestanti, quando non produsse una conversione alla fede riformata, rafforzò comunque i legami tra gli ambienti anglo-elvetici e gli esuli centro-settentrionali e meridionali.
Furono però soprattutto gli avvenimenti del 1848-1849 a legare i protestanti al moto risorgimentale. Il fallimento dell’ipotesi neoguelfa (cioè di un’alleanza tra Pio IX e il movimento nazionale), la fuga del pontefice da Roma e, infine, l’esperienza della Repubblica romana accesero la speranza che fosse giunta l’ora di una riforma religiosa, da realizzare attraverso una guerra patriottica contro il papato.
Tale prospettiva sembrò sul punto di realizzarsi con la nascita della Repubblica romana, esperienza che più di ogni altra contribuì a legare la componente più impegnata del protestantesimo al Risorgimento. Dopo il 1848, infatti, il protestantesimo guadagnò proseliti soprattutto fra i reduci di quell’esperienza, ma anche fra coloro che avevano coltivato l’illusione di un Pio IX solidale con la causa nazionale.
Il 1848 fu un anno importante anche sotto il profilo del riconoscimento dei diritti politici e civili delle comunità evangeliche presenti nel Regno di Sardegna. Dopo un intenso dibattito culturale sul problema della libertà di culto, sostenuto soprattutto dal cattolico-liberale Roberto d’Azeglio, si arrivò alle Regie Patenti del 17 febbraio 1848.
Con tale provvedimento Carlo Alberto concedeva la libertà di culto alla minoranza valdese, fino a quel momento vissuta in una condizione di inferiorità giuridica. In realtà, la libertà della predicazione evangelica non era garantita: se il culto valdese era ufficialmente tollerato, non lo era il proselitismo.
Parallelamente al processo di unificazione nazionale sotto la monarchia sabauda (e dunque alla graduale estensione della legislazione piemontese sulle minoranze religiose) si registrò una ripresa dell’attività e della diffusione del culto evangelico: spuntarono nuovi nuclei di evangelici italiani, in parte collegati ai valdesi, in parte nella forma di «Chiese Libere»; furono istituite nuove scuole evangeliche per l’istruzione primaria, fra le quali vanno menzionate quelle dirette da Salvatore Ferretti a Firenze.
Tuttavia, nonostante il culto evangelico fosse ormai ufficialmente tollerato, gli atteggiamenti vessatori e le violenze ai danni dei protestanti continuarono anche dopo il 1861: era del tutto usuale (solo per fare un paio di esempi) che ai defunti evangelici venisse rifiutata da parte del clero la sepoltura nei cimiteri o che, negli ospedali, i moribondi subissero pressioni di ogni sorta affinché rinnegassero il proprio culto.
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Venditore ambulante della Claudiana ottocentesca con il suo "carro biblico" - fotografia |
Nel marzo 1866, a Barletta, la comunità evangelica subì una violenta aggressione (vi furono diversi morti e feriti) da parte di folle fanatizzate che si scagliarono contro gli «eretici», ritenuti responsabili della siccità e del colera sopraggiunti nella zona.
I protestanti parteciparono alla terza guerra di indipendenza (un migliaio di valdesi furono nell’esercito regolare; altri si trovavano con Garibaldi nei Cacciatori delle Alpi) e più tardi, il 20 settembre 1870, assistettero alla fine del potere temporale dei papi (prendendo parte alla breccia di Porta Pia).
Secondo quanto si tramanda nel piccolo mondo dei protestanti italiani, subito dopo l’ingresso dei bersaglieri a Porta Pia, fece il suo ingresso a Roma un evangelico: portava con sé un carretto di Bibbie, trainato da un grosso cane che rispondeva al nome di Pio IX. L’episodio, non del tutto certo, è tuttavia indicativo dell’illusione coltivata fino a quel momento dai protestanti italiani: che la fine del potere temporale dei papi annunciasse il crollo di quello spirituale.
Dopo il 1848, il granduca Leopoldo II attuò in Toscana una violenta repressione nei confronti del movimento evangelico: furono proibite le riunioni di culto nelle case private, si susseguirono arresti ed espulsioni. Il caso che ebbe maggiore risonanza, specie per gli effetti che determinò in ambito internazionale, fu l’arresto, nel 1851, dei coniugi Madiai. Del “caso Madiai”, come fu chiamato, riproduciamo la ricostruzione dello storico Giorgio Spini.
G. Spini, Risorgimento e protestanti, Torino, Claudiana Editrice, 1998, pp. 257-265.
Le Regie Patenti del 17 febbraio 1848
Con le Regie Patenti del 17 febbraio 1848, di cui riproduciamo il testo, Carlo Alberto concedeva ai valdesi del Regno di Sardegna gli stessi diritti civili e politici degli altri sudditi. Il provvedimento fu accompagnato da un’esplosione di entusiasmo: mentre a Torino gli studenti invitavano la folla ad acclamare il provvedimento e intonavano l’inno «Fratelli d’Italia!», le valli valdesi si illuminarono a giorno con fuochi e falò in segno di gioia.
Il Risorgimento. Storia, documenti, testimonianze, a cura di Lucio Villari, IV, La prima guerra di indipendenza 1847-1848, Roma, Biblioteca di Repubblica-L'Espresso, 2007, pp. 527-528.