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Nel 1881 la laurea in giurisprudenza di Lidia Poët – prima donna a laurearsi in legge in Italia – ebbe grande risalto sia nell’Università di Torino, dove sostenne la prova, sia a Pinerolo, sua città natale, tanto che un giornale femminile dell’epoca, La Donna, scrisse della grande forza dimostrata nel «superare tutti quegli ostacoli che ancor si oppongono alla donna, perché ella possa, pari al suo compagno, darsi, quando la vocazione e l’intelligenza superiore ve la chiamino, agli studi scientifici, letterari, a quegli studi, in una parola, che furono e purtroppo sono ancora riservati esclusivamente all’essere privilegiato che si chiama uomo».
Lidia, nata nel 1855, apparteneva ad una famiglia benestante ed è molto probabile che la sua preparazione non si limitasse a quella ventina di materie che, con qualche variante, hanno composto e compongono il corso di laurea in giurisprudenza. Ciò si deduce dagli scritti che la Poët pubblicò nella sua non breve vita; ed in particolare dalla sua dotta relazione per la Conferenza sui lavori proposti alla riunione quinquennale di Roma del Consiglio Internazionale delle donne tenuta in Torino il 4 aprile 1914 (Tipografia “Il Risveglio”, 1914, depositata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze).
Dopo la laurea in giurisprudenza Lidia Poët aveva svolto per due anni il praticantato indispensabile per il superamento degli esami di procuratore legale, secondo una normativa prevista dalla legge del tempo. Appena superati gli esami, chiese l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e Procuratori Legali, ed il 9 agosto 1883 la sua richiesta fu accolta. Ma la Corte d’Appello di Torino, su ricorso del Pubblico Ministero, revocò l’iscrizione. La Poët ricorse allora in Cassazione, ma questa, l’anno successivo, si oppose nuovamente alla richiesta. I motivi addotti dalla Corte d’Appello e dalla Cassazione per rigettare l’ammissione della Poët all’Ordine degli Avvocati si appellavano alle interpretazioni di leggi non scritte, come il cosiddetto diritto comune e la legge naturale.
I punti forti delle teorie avverse alla carriera delle donne in avvocatura furono essenzialmente due: uno di carattere medico, l’altro di carattere giuridico. Dal punto di vista medico si diceva che, a causa del ciclo mestruale, le donne non avrebbero avuto, almeno in una settimana al mese, la giusta serenità di giudizio nei casi di cui si sarebbero dovute occupare. Solo nei decenni avanzati della storia repubblicana si metterà fine a questi pregiudizi.
La seconda obiezione sollevata contro la signorina Poët era di carattere giuridico. Le donne all’epoca non godevano della parità di diritti con gli uomini. Ad esempio non potevano essere testimoni nei processi dello Stato Civile o testimoni per un testamento. Inoltre, esse erano sottoposte alla volontà del marito che dovevano seguire in ogni suo minimo spostamento e cambiamento di domicilio. Il diniego, nel 1883, all’iscrizione all’Albo degli avvocati e procuratori legali risentiva infatti di un modo di pensare conforme alla logica giuridica del tempo: permettere alle donne di svolgere attività d’avvocato sarebbe stato lesivo per i clienti perché si sarebbe dato loro «un patrono che non ha tutte le facoltà giuridiche».
Questa posizione arretrata non era condivisa da tutti i rappresentanti della professione, anzi, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia, nel 1883, invitava la classe politica a porre fine alle discriminazioni nei confronti delle donne e di procedere ad una modifica del codice e della legislazione vigente al fine di equiparare donne e uomini, dando anche alle donne i medesimi diritti degli uomini in modo cosi da permettere l’attività di avvocato.
Lidia Poët non fu solo una paladina dell’emancipazione professionale femminile: molto attiva nel movimento internazionale delle donne, fu crocerossina durante la prima guerra mondiale. Finalmente nel 1920, all’età di sessantacinque anni, riuscì ad ottenere l’iscrizione all’Albo degli avvocati di Torino.
La data del 1920 non deve sorprendere, perché solo nel 1919 era entrata in vigore in Italia la legge che permetteva alle donne l’accesso ad alcuni Uffici pubblici (legge 17 luglio 1919 n°1176, recante «disposizioni sulla capacità giuridica della donna»).
Lidia Poët morì a Diano Marina, in Liguria, nel 1949.
Anna Ruggieri