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I protagonisti » Cavour  
Nasce a Torino il 10 agosto del 1810 e muore nella stessa cittą il 6 giugno 1861
 


 

 
S. Galletti - Monumento in bronzo a Cavour - 1895 - Piazza Cavour - Roma  
 

Nacque a Torino il 10 agosto 1810, secondogenito del marchese Michele e della ginevrina Adele de Sellon, di origini ugonotte convertitasi al cattolicesimo subito dopo la nascita di Camillo. La famiglia aveva visto crescere le sue fortune durante il periodo napoleonico e Camillo ebbe il suo nome in onore del padrino, il principe Camillo Borghese, altissimo funzionario imperiale, marito della sorella dell'imperatore francese, Paolina.

Iscritto a 10 anni alla Real Militare Accademia, a 14 entrò a Corte tra i paggi del principe Carlo Alberto dando subito prova del proprio carattere orgoglioso e audace con il disprezzo espresso senza peli sulla lingua per quella che disse era la «livrea di un lacché». Guadagnato nel 1826 il brevetto di luogotenente del Genio, passò alcuni anni in servizio soprattutto a Genova, dove venne in contatto con gli ambienti finanziario-commerciali della città nonché, di sfuggita, con i circoli dell'estremismo democratico.


 

 
Mayer & Pierson - Camillo Benso di Cavour (1810-1861) - 1856 - Carte de visite - Istituto Mazziniano - Genova  

Tuttavia sempre più insofferente della vita pubblica del Regno e dell'etichetta di Corte nel 1831 lasciò il servizio. Iniziarono allora lunghi anni di viaggio tra Ginevra – dove si legò moltissimo ai parenti materni e che rimase sempre una sorta di sua patria ideale –, la Francia, il Belgio e l'Inghilterra. Ebbe così modo di familiarizzarsi con la vita politica, economica e industriale dell'Europa moderna, frequentandone i salotti, i dibattiti, le riviste, le aule parlamentari, i circoli politici.

Fu in questo contesto che maturò la sua avversione per il legittimismo e per le correnti clericali, e il suo favore per il “juste milieu”, “il giusto mezzo” liberal-moderato, di contro al pericolo rivoluzionario, da lui sempre aborrito. Dopo un lungo periodo passato soprattutto dedicandosi agli affari, entrò nella vita pubblica a 37 anni, allorché il 30 novembre 1847 partecipò, insieme al gruppo moderato che faceva capo a Cesare Balbo e nel clima in ebollizione per gli imminenti sommovimenti quarantotteschi, alla nascita del quotidiano «Il Risorgimento», divenendo subito direttore del giornale. Fu tra i primissimi nel febbraio-marzo 1848 ad avanzare a Carlo Alberto la richiesta di Costituzione.

La crescente polarizzazione della vita politica piemontese nel '48-'49 lo spinse sempre più ad opporsi alla parte democratica (governo Gioberti) per timore di una sua possibile deriva rivoluzionaria. Su questa strada arrivò a dirsi favorevole all'intervento francese contro la Repubblica romana in risposta ai suoi eccessi e nella speranza in una restaurazione costituzionale degli Stati pontifici. Ben presto capacità e prestigio ne fecero in pratica il capo della maggioranza moderata filogovernativa uscita dalle elezioni successive al proclama di Moncalieri. In questa veste, peraltro, appoggiò calorosamente le leggi Siccardi, destinate a segnare il definitivo distacco del Piemonte dal fronte cattolico-reazionario. Acquistata ormai una propria autorevole fisionomia di liberale convinto anche se fermo su posizioni moderate, il 12 ottobre 1850 fu chiamato come ministro dell'Agricoltura e del commercio nel governo di Massimo d'Azeglio, di cui nell'aprile dell'anno successivo divenne anche ministro delle Finanze.

Contro il quietismo dinastico del presidente del Consiglio, Cavour venne rapidamente affermando la visione di un liberalismo intraprendente e riformatore all'interno, nonché attivamente impegnato in politica estera nella causa nazionale. Intorno a questo programma politico riuscì non solo a ottenere il consenso dell'area liberale di governo, ma anche a stringere un accordo destinato a far epoca con la parte più moderata della sinistra democratica capeggiata da Urbano Rattazzi. Fu questo il cosiddetto Connubio, con cui si costituì un ampio raggruppamento di centro-sinistra che avrebbe poi costituito la maggioranza di tutti i successivi governi Cavour. Cemento dell'accordo fu da un lato la decisa politica di orientamento laico che quei governi adottarono (soppressione delle congregazioni religiose e l'incameramento dei relativi beni), dall'altro la sostanziale difesa della libertà di stampa, ampiamente utilizzata da tutto il movimento nazionale, mazziniani compresi, che ormai aveva negli Stati sardi il suo rifugio.

Da quel momento in poi oltre che ad una serie di importanti provvedimenti interni (riordino della struttura ministeriale, impulso alle costruzioni ferroviarie e portuali, tra cui il traforo del Frejus, istituzione della leva obbligatoria), l'attività di Cavour fu interamente rivolta a tessere la trama politico-diplomatica al servizio della causa dell'indipendenza italiana. Che egli, beninteso, ancora all'indomani della guerra del '59 concepiva come possibile solo nella forma di una confederazione di Stati, sottratti però all'egemonia austriaca. Mosse decisive nella costruzione della trama anzidetta e veri capolavori di arte politica furono la partecipazione del Piemonte alla spedizione di Crimea, la fondazione della Società Nazionale, la sfida lanciata all'Austria con gli accordi di Plombières e con l'alleanza militare franco-piemontese.

Fu grazie a questa politica (oltre a importanti gesti simbolici, come la calda accoglienza riservata dal Piemonte a un gran numero di esuli politici), che Cavour divenne agli occhi dell'opinione pubblica italiana la vera e indiscussa guida del movimento nazionale. La consacrazione definitiva in questo senso gli venne quando, saputo dell'Villafranca">armistizio di Villafranca (11 luglio 1859), dopo un aspro scontro con Vittorio Emanuele II, che Cavour cercò disperatamente di convincere a non accettare l'accordo tra Napoleone III e Francesco Giuseppe, egli presentò le proprie dimissioni.

 


 

  Camillo Benso conte di Cavour - Museo Centrale del Risorgimento - Roma

Ma l'assenza dal governo durò poco: la complessa situazione determinata dall'incertezza circa il futuro della Toscana, del Ducato e della Romagna ribellatisi ai loro antichi sovrani e desiderosi di unirsi al Piemonte ma trattenuti dal farlo a causa dell'orientamento antiunitario della Francia, imposero il suo ritorno al governo che, nonostante i pessimi rapporti con il sovrano, avvenne il 21 gennaio 1860 e fu sanzionato dall'annessione dei territori dell'Italia centrale e dall'importante successo elettorale nelle elezioni del marzo successivo.

Nel maggio iniziò l'ultima difficile partita politica, condotta anche questa con maestria e coronata dal successo. La spedizione dei Mille, in effetti, lo vide dapprima spettatore attento, poi accorto fiancheggiatore ma anche rivale di Garibaldi, cui fino all'ultimo cercò di strappare l'iniziativa mirando altresì a impedirne l'unione con Mazzini, e infine giocatore audace allorché, accortosi che ormai il Sud era tutto nelle mani del Generale e preoccupato che questi potesse proseguire per Roma, ordinò all'esercito piemontese di occupare le Marche e l'Umbria pontificie per ricongiungersi con le camicie rosse nei pressi di Caserta (incontro di Teano, 29 ottobre 1860) e gettare così le basi per l'annessione del Mezzogiorno.

Dopo le nuove elezioni del 27 gennaio 1861, il 23 marzo divenne presidente del Consiglio del primo governo del Regno d'Italia e nelle settimane successive pronunciò i suoi due ultimi importanti discorsi per rivendicare Roma all'Italia fatta salva l'indipendenza e la libertà spirituale del pontefice. Colpito improvvisamente da una febbre probabilmente malarica, dopo una brevissima malattia morì a Torino avendo ricevuto i sacramenti il 6 giugno 1861.

 

 «Di statura un poco al di sotto della media, grassotto nella persona, di portamento distinto, di colorito rosso, biondo di capelli, con occhi cerulei per non dir bigi, che scintillavano sotto gli occhiali. Per natura allegro, egli si presentava, o riceveva, quasi sempre col sorriso sulle labbra, ed amava con qualche motto scherzevole entrare in discorso. La sua attività era continua; s'egli non agiva, pensava, meditava; quindi quei suoi modi talora astratti, quelle sue giaciture talora incomposte, quel bisogno di aver sempre qualche cosa tra le mani […]».


 

 
Perrin - I protagonisti dell'unificazione nazionale: Cavour, Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Mazzini, Garibaldi e Pio IX, sotto la stella simbolo dell'Italia - litografia - Museo Centrale del Risorgimento - Roma  

Così Michelangelo Castelli ritraeva Cavour al momento del suo ingresso in politica nel 1847. È il ritratto preciso che ci dà l'immagine dell'uomo, ma che ci fa solo intravedere alcuni degli aspetti della sua personalità. Una personalità che si formò in una infanzia felice in cui Camillo strinse un legame fortissimo destinato a durare, tra alti e bassi, tutta la vita con il fratello Gustavo, più grande di lui di 4 anni e di indole studiosa e meditativa, quanto il giovane Camillo era invece chiassoso e poco amante degli studi.

Ambizioso con una punta di presunzione che spesso non lo rendeva simpaticissimo, dotato di una natura orgogliosa, Cavour mostrò fin da giovane quello spiccatissimo senso di indipendenza, di dignità personale e un'altrettanto spiccata tendenza al comando che lo accompagnarono tutta la vita, e che quando incontravano un ostacolo potevano produrre scoppi d'ira accesissima e profondi scoramenti. Uomo di indole e di interessi eminentemente pratici, ebbe modo di formarsi una vasta conoscenza delle grandi questioni del proprio tempo soprattutto attraverso lunghi viaggi e soggiorni all'estero.

Questi ebbero un'importanza cruciale innanzitutto per dare vita e consolidare la sua cultura liberale, in specie i periodi trascorsi a Ginevra, frequentando l'ambiente del locale patriziato in cui erano introdotti i suoi parenti Sellon e de la Rive, e quelli in Francia, dove ebbe modo di conoscere Tocqueville, Michelet, Guizot ed entrare in contatto con tutti i più importanti circoli politici e intellettuali parigini.

Sempre i soggiorni all'estero valsero a introdurlo nel mondo degli affari e dell'economia europea, che allora attraversava il periodo di grande espansione legato alla rivoluzione industriale. Proprio in seguito a questi viaggi Cavour scoprì in sé una forte vocazione imprenditoriale, che lo spinse a lanciarsi in una miriade di iniziative: dalle speculazioni in Borsa dove guadagnò ma anche perse moltissimo, alle costruzioni ferroviarie, alle fondazioni di istituti bancari.

Ma soprattutto si dedicò alla grande tenuta agricola di famiglia a Leri, nel Vercellese, che egli ingrandì e di cui fece in breve un'azienda modello fortemente innovativa e redditizia. In questo modo, nonché grazie a una serie di cospicue eredità giuntegli anche dal lato materno, arrivò ad accumulare un enorme patrimonio, valutato in circa 5 milioni di lire, divenendo così uno degli uomini più ricchi del Piemonte.

Appena nominato ministro, però, liquidò immediatamente tutti gli affari in cui era stato attivo fino ad allora, continuando ad occuparsi solo dell'amatissima tenuta di Leri, che per lui rappresentò, fino alla morte, anche una specie di buen retiro.

Ebbe sempre assai forte il senso dell'amicizia, frutto di un temperamento ardente ed emotivo, nel fondo fragile, che nei momenti di maggiore tensione gli faceva perdere il dominio di se stesso.

Legatissimo, ad esempio, a Pietro di Santa Rosa, con cui aveva diviso tanto tempo anche nei viaggi all'estero, quando questi morì nell'agosto 1850 e gli vennero rifiutati i sacramenti perché non aveva voluto ritrattare il proprio assenso alle leggi Siccardi, Cavour, che stava assistendo all'agonia dell'amico e allo strazio dei parenti, si infuriò con il sacerdote responsabile del rifiuto e lo investì con le minacce delle più gravi conseguenze, che eseguì puntualmente dandosi da fare perché il governo denunciasse l'arcivescovo di Torino e ne ordinasse l'arresto, ponendo altresì sotto sequestro i beni della curia.

 


 

  F. Hayez - Camillo Benso di Cavour - dipinto - Pinacoteca di Brera - Milano

Per tutta la vita amò il gioco e non disdegnò i salotti, la vita di società, gli incontri tra cui quelli, numerosi, con le donne. Furono però non più di due le amicizie femminili che lo coinvolsero veramente: la prima, quella con la “Nina” (Anna Giustiniani Schiaffino), una signora della buona società genovese, di temperamento fervido e di risoluzioni estreme, che Cavour incontrò all'inizio della sua carriera militare e che dopo una tormentata relazione abbandonò.

La seconda, a partire dal 1856, quella con Bianca Ronzani, una ballerina di professione probabilmente di origini ungheresi. Cavour si legò molto a lei, con un vincolo che durò fino alla morte e le assicurò un considerevole tenore di vita trovando in essa un sostegno importante nei momenti più difficili.

Per tutta la vita fece mostra di un enorme resistenza al lavoro (per lunghi periodi si alzò verso le 4 del mattino) e mostrò un'impareggiabile capacità di trattare gli uomini, di valutare le circostanze, di capire i tempi delle situazioni.

Insieme alla rete di amicizie e di relazioni di ogni tipo che con il suo temperamento curioso e intelligente egli seppe costruire, furono queste le doti principali che ne fecero un uomo politico di eccezionale successo. Non da ultimo per le spregiudicatezze che fu sempre disposto ad adoperare, convinto della bontà della sua causa e sicuro della propria capacità di dominare gli eventi: «Se la diplomazia fu impotente, ricorriamo a mezzi extralegali – ebbe a confidare una volta a Rattazzi – Moderato d'opinioni, sono piuttosto favorevole ai mezzi estremi ed audaci».

 

Il giovane Cavour

Ruffini ricorda in questo profilo alcuni aspetti caratteriali di Cavour, profondamente consapevole delle proprie capacità intellettuali e morali e fin da giovane determinato ad ottenere successo nella vita pubblica del proprio paese.

F. Ruffini, La giovinezza di Cavour: saggi storici secondo lettere e documenti inediti, Torino, Fratelli Bocca, 1912, I, pp. 298-300.

 

La formazione internazionale di Cavour

Cafagna sottolinea come il principale artefice dell'Unità d'Italia avesse una formazione culturale europea e fosse uno scarso conoscitore dell'Italia e dell'italiano; ritiene però che proprio questo aspetto abbia reso Cavour più “moderno” dei contemporanei.

L. Cafagna, Cavour, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 81-85.

 


 

 
Cavour fa ballare il valzer agli altri uomini politici, una caricatura della seconda metà del secolo XIX - stampa - Musei Civici, raccolta Bertarelli - Milano  

 

Il carattere di Cavour

Nel presente passo una breve descrizione dell'“uomo Cavour”, sottolineandone le notevoli virtù politiche ma anche alcune spigolature caratteriali.

L. Cafagna, Cavour, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 45-48.

 

Cavour e la formula "libera Chiesa in libero Stato"

Dopo una breve analisi del cattolicesimo cavouriano, Jemolo ricorda come fu proprio la profonda fede nel progresso ad indurre il conte ad elaborare il programma separatista che si riassume nella nota formula “libera Chiesa in libero Stato”. Tale programma, però, è secondo lo storico poco definito da un punto di vista teorico, ma risponde volta per volta alle necessità politiche concrete poste dagli avvenimenti. Anche in questo ambito Cavour si dimostra innanzi tutto un “pratico realizzatore”.

A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, Torino, Einaudi, 1955, pp. 134-141.

 

Il Connubio e la politica religiosa di Cavour

De la Rive, cugino di Cavour, sottolinea come l'alleanza con Rattazzi fosse il risultato di un pragmatico cambiamento di fronte: determinato a limitare i privilegi della Chiesa ma in questo ambito debolmente sostenuto dalla Destra, il conte optò per la soluzione governativa più solida, modificando sostanzialmente la sua base parlamentare.

W. de La Rive, Il conte di Cavour: racconti e memorie, Torino, Fratelli Bocca, 1911, pp. 234-236.

 

Cavour e il Connubio

Il passo analizza l'alleanza politica tra Cavour e Rattazzi nota come Connubio. Contrario ad interpretarla come l'atto che diede inizio al trasformismo, e che rese quindi difficile in Italia l'affermarsi di un sistema politico bipolare, l'autore individua piuttosto in quella scelta, compiuta in un periodo in cui a prevalere erano tendenze estreme e inconciliabili, una via per assicurare il graduale superamento dei vecchi contrasti e per garantire all'Italia gradi sempre più elevati di libertà.

R. Romeo, Cavour e il suo tempo, I-III, Roma-Bari, Laterza, 1969-1984: II, 1977, pp. 572-580.

 

Cavour e la guerra di Crimea

Secondo Romeo è proprio l'intervento piemontese nella guerra di Crimea e la conseguente partecipazione al Congresso di Parigi a conferire a Cavour un notevole prestigio internazionale e a farlo emergere come leader indiscusso della corrente nazionale moderata. È da questo momento, inoltre, che il liberalismo cavouriano si delinea come concreta alternativa al mazzinianesimo.

R. Romeo, Cavour e il suo tempo, I-III, Roma-Bari, Laterza, 1969-1984: III, 1984, pp. 263-267.

 

Cavour e Villafranca

Pur rievocando la delusione provata da Cavour di fronte all'armistizio di Villafranca, Romeo ricorda che la guerra del 1859, resa possibile dalle scelte diplomatiche del conte, determinò la fine dell'egemonia austriaca in Italia. D'altro canto sottolinea come le dimissioni di Cavour all'indomani dell'armistizio abbiano evitato che la politica dei moderati coincidesse esclusivamente con gli interessi dinastici di Casa Savoia.

R. Romeo, Cavour e il suo tempo, I-III, Roma-Bari, Laterza, 1969-1984: III, 1984, pp. 622-626.

 

Cavour, Garibaldi e la “rivoluzione incompiuta”

Dopo aver ricordato alcuni aspetti della relazione personale tra Cavour e Garibaldi, Romeo sottolinea come il successo ottenuto dai democratici nel 1860 abbia modificato gli equilibri interni al movimento nazionale, costringendo d'allora in poi i moderati a difendersi dall'accusa di realismo e sudditanza nei confronti della Francia. Proprio la frattura politica e morale determinatasi in quella occasione avrebbe anzi fatto parlare del Risorgimento come di una “rivoluzione incompiuta”.

R. Romeo, Cavour e il suo tempo, I-III, Roma-Bari, Laterza, 1969-1984: III, 1984, pp. 818-823.

 

Cavour e Garibaldi

Mack Smith ritiene che in una prima fase Cavour non sostenne in alcun modo la spedizione di Garibaldi in Sicilia, da lui giudicata inopportuna nei modi e nei tempi. Già in difficoltà per la cessione di Nizza e Savoia, il conte preferì piuttosto guadagnare tempo, prestando un aiuto attivo solo dopo la caduta di Palermo.

D. Mack Smith, Cavour e Garibaldi nel 1860, Torino, Einaudi 1958, pp. 45-50.

 

Cavour e Mazzini

Omodeo parla di una “inconscia collaborazione” tra Mazzini e Cavour: l'attività cospirativa del genovese creò infatti le premesse necessarie alla politica del Piemonte e divenne elemento essenziale nelle strategie diplomatiche di Cavour, il quale trasse stimolo dal continuo confronto polemico con l'avversario.

A. Omodeo, L'opera politica del Conte di Cavour, II, Firenze, Nuova Italia, 1941, pp. 178-182.

 

Cavour e Giolitti

Nel passo, tratto da un articolo apparso sull'«Avanti!» alla vigilia delle prime consultazioni elettorali dopo la Grande Guerra (8 novembre 1919), Gramsci opera un confronto tra Cavour e Giolitti, negando che vi sia tra i due alcuna similitudine politica e culturale.

A. Gramsci, L'ordine nuovo: 1919-1920, Torino, Einaudi, 1954, pp. 300-302.

 

 

 

 

 

  L. Masutti - Trionfo allegorico del conte di Cavour - litografia

Contro le corporazioni religiose

È il 1855: Cavour difende davanti alla Camera subalpina la legge che prevede la soppressione dei alcune corporazioni religiose e l'incameramento dei loro beni per fini di pubblica utilità. È un passo siginificativo sulla via dell'affermazione d'una concezione laica dello Stato.

Camillo Benso di Cavour, La libertà come fine. Antologia di scritti e discorsi (1848-1861), a cura di R. Balzani, Roma, Ideazione Editrice, 2002, pp. 202-203, 206-207, 224-225, 234-235.

 

La grande politica estera

Nel maggio 1856 Cavour difende alla Camera le ragioni dell'intervento nella guerra di Crimea, illustrando i vantaggi che la causa dell'unità italiana ha ricavato dal Congresso di Parigi che ha posto fine a quella guerra.

Camillo Benso di Cavour, La libertà come fine. Antologia di scritti e discorsi (1848-1861), a cura di R. Balzani, Roma, Ideazione Editrice, 2002, pp. 311-312, 316-318, 321-323.

 

La notizia dell'armistizio di Villafranca

Nelle righe che seguono la testimonianza di Costantino Nigra sul momento in cui Cavour apprese della notizia dell'armistizio di Villafranca, sulle sue reazioni e sul tempestoso diverbio con il re che si concluse con le sue dimissioni.

Il carteggio Cavour-Nigra. Dal 1858 al 1861, II, La campagna diplomatica e militare del 1859, a cura della R. Commissione Editrice, Bologna, Zanichelli,  1926, p. 292.

 

Sfinito e sfiduciato

L'armistizio di Villafranca è stato appena firmato contro la volontà di Cavour che, dopo uno scontro violento con Vittorio Emanuele II, si è dimesso. Il suo progetto politico sembra essere interamente fallito ed egli manifesta tutto il suo scoramento e senso della fine in questo biglietto (ultimi di luglio del 1859) alla sua amica Bianca Ronzani.

Il carteggio Cavour-Nigra. Dal 1858 al 1861, II, La campagna diplomatica e militare del 1859, a cura della R. Commissione Editrice, Bologna, Zanichelli, 1926, p. 236, nr. 480.

 


 

  "Grande Vittoria!". Cavour annuncia la vittoria di Solferino

 

L'urgenza dell'annessione per evitare la rivoluzione

Il 2 ottobre 1860 Cavour prospetta alla Camera subalpina l'urgenza di procedere all'annessione del Mezzogiorno, sull'esempio di quanto avvenuto alcuni mesi prima in Emilia e Toscana, per impedire che la situazione possa evolvere in senso rivoluzionario-mazziniano (il motto “Dio ed il Popolo” citato negativamente era per l'appunto la più nota parola d'ordine del movimento mazziniano).

Camillo Benso di Cavour, Discorsi parlamentari, a cura di D. Cantimori, Torino, Einaudi, 1962, pp. 188-195.

 

L'indipendenza ma insieme alla libertà

In questa lettera del 2 ottobre 1860 ad un suo collaboratore circa la politica da seguire nel rapporto con il Mezzogiorno appena conquistato da Garibaldi, Cavour riafferma la propria fede in una politica ispirata ai principi liberali contro ogni suggestione dittatoriale.

Carteggi di Camillo Cavour. La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, III, (ottobre-novembre 1860), a cura della Commissione Editrice, Bologna, Zanichelli, 1952, pp. 12-13, nr. 1098.

 

Una strategia per l'annessione contro i mazziniani

Cavour è alle prese con il difficilissimo problema di gestire politicamente in senso favorevole ad una soluzione nazionale ma antimazziniana, e cioè antirivoluzionaria, il problema della conquista garibaldina del Regno di Napoli. In questa lettera del 5 ottobre 1860 il suo acume politico illustra a Luigi Carlo Farini, inviato nel Mezzogiorno, le mosse da fare per prevenire le mosse degli avversari.

Carteggi di Camillo Cavour. La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, III, (ottobre-novembre 1860), a cura della Commissione Editrice, Bologna, Zanichelli, 1952, pp. 38-39, nr. 2047.

 

Come trattare i garibaldini

Si noti la lucidità ma insieme anche il generoso spirito cavalleresco di questa lettera (8 ottobre 1860) in cui Cavour indica a Farini la linea da seguire con Garibaldi e i volontari garibaldini reduci dalla conquista del Regno di Napoli. C'è tutto lo statista ma insieme anche l'uomo Cavour.

Carteggi di Camillo Cavour. La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, III, (ottobre-novembre 1860), a cura della Commissione Editrice, Bologna, Zanichelli, 1952, pp. 63-65, nr. 2091.

 

Roma sarà la capitale d'Italia

Marzo 1861: è uno dei più importanti discorsi di Cavour. Tenuto immediatamente dopo la proclamazione del Regno d'Italia, il grande primo ministro delinea la sua visione dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia, alla luce dell'inevitabile fine del temporalismo da un lato e di una piena libertà religiosa dall'altro.

Camillo Benso di Cavour, La libertà come fine. Antologia di scritti e discorsi (1848-1861), a cura di R. Balzani, Roma, Ideazione Editrice, 2002, pp. 244-246, 249-250, 261-263, 265-266.

 

Il protezionismo nemico dello sviluppo

In questo discorso del maggio 1861 davanti alla Camera dei Deputati dell'appena costituito Regno D'Italia Cavour ribadisce la sua fede nel liberismo economico e ne difende l'introduzione in tutto il nuovo Stato (dunque con relativo abbassamento dei dazi precedentemente in vigore in molti Stati) soprattutto come strumento di futuro sviluppo dell'economia.

Camillo Benso di Cavour, La libertà come fine. Antologia di scritti e discorsi (1848-1861), a cura di R. Balzani, Roma, Ideazione Editrice, 2002, pp. 166-167, 170-172, 179-181.

 

Per approfondire lo studio di Camillo Benso conte di Cavour suggeriamo le seguenti opere:

 

R. Romeo, Vita di Cavour, Roma-Bari, Laterza, 2004.

L. Cafagna, Cavour, Bologna, Il Mulino, 1999.

C. Benso conte di Cavour, Discorsi parlamentari, a cura di D. Cantimori,Torino, Einaudi, 1962.

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