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La mattina del 12 gennaio 1848 molti palermitani si radunarono per le vie della città, dove nei giorni precedenti erano stati diffusi manifesti che incitavano alla rivoluzione. Dopo che alcuni patrioti distribuirono armi e coccarde tricolori, squadre di ribelli, condotte per lo più da giovani borghesi, si scontrarono con la polizia e con le truppe. Nella notte i rivoltosi si barricarono quindi nella zona della Fieravecchia, dove si formò un comitato che assunse la direzione del moto alla guida di Giuseppe La Masa. La mattina del 13, i ribelli ripresero la lotta rafforzati da bande di contadini, scesi da Villabate, da Misilmeri e da altri paesi vicini. Le forze regie adottano invece una tattica difensiva asserragliandosi nei principali edifici pubblici in attesa dei rinforzi, mentre l'artiglieria bombardava la città dal fronte di Castellammare e sparava lungo via Toledo e via Maqueda. Nella convinzione che fosse necessario allargare il fronte rivoluzionario e chiamare alla lotta gli aristocratici e i borghesi moderati, La Masa indusse il comitato della Fieravecchia a rivolgere loro un appello, cosicché il 14 gennaio furono costituiti quattro distinti comitati (per l'annona, per le munizioni di guerra, per la pubblica sicurezza e per le informazioni) presieduti da esponenti dell'aristocrazia.
La sera del 16 gennaio cinquemila uomini comandati dal generale De Sauget, giunti il giorno prima con una squadra navale borbonica, tentarono però di penetrare nella città, quasi tutta nelle mani degli insorti.
L'attacco fu respinto dopo una lunga battaglia grazie all'energia dei combattenti popolari e dei componenti del comitato della Fieravecchia, tra cui spiccavano, accanto al già ricordato La Masa, Rosolino Pilo, Pasquale Miloro, Giacinto Carini. Nei giorni seguenti, gli insorti espugnarono uno dopo l'altro i centri di resistenza borbonici all'interno della città, e chiesero la convocazione di un Parlamento siciliano che avrebbe dovuto adattare ai tempi la Costituzione del 1812, formalmente mai abrogata. Dopo aver respinto l'offerta di una parziale autonomia amministrativa e giudiziaria, il 23 gennaio, i quattro comitati formatisi precedentemente si costituirono in Comitato generale, ed elessero presidente Ruggero Settimo, aristocratico moderato, e segretario Mariano Stabile, alto borghese. Il 25 gennaio i borbonici sgombrarono quindi il Palazzo Reale e gli altri edifici che ancora tenevano all'interno della città, mentre le truppe di de Sauget, ritiratesi da Palermo, si imbarcarono a Solunto il 30. Frattanto la rivoluzione era dilagata nelle altre città e nei paesi dell'isola, cosicché, tra fine gennaio e primi di febbraio 1848, le truppe regolari furono cacciate quasi ovunque (rimasero in mani borboniche Siracusa, occupata dai rivoluzionari in aprile, e la cittadella di Messina). Il 2 febbraio il comitato generale di Palermo, che alcuni giorni prima aveva istituito una Guardia nazionale composta essenzialmente da borghesi, assunse quindi i poteri di governo provvisorio per tutta la Sicilia. Non appena a Napoli giunse la notizia della rivoluzione palermitana, alcuni patrioti diedero inizio al moto anche nella parte continentale del Regno. L'insurrezione esplose il 17 gennaio nel Cilento, a Castellabate, a Pollica, a Torchiara, dove in accordo con il detenuto napoletano Carlo Poerio, alcuni patrioti alla testa di piccole bande armate occuparono Vallo della Lucania, costituendovi un governo provvisorio. Non essendo però insorta Salerno, i capi della rivolta si limitarono ad occupare vari paesi della zona, distruggendo archivi comunali e uffici regi.
Preoccupato dagli avvenimenti, Ferdinando II aveva nel frattempo deciso di fare alcune concessioni (limitata libertà di stampa, liberazione dei detenuti politici, grazia ai condannati per tali reati), non sufficienti però a placare gli animi. Una vasta dimostrazione liberale, organizzata a Napoli il 27 gennaio, dopo il licenziamento del capo della polizia borbonica, Francesco del Carretto, convinse infine il re ad accordare la Costituzione, annunciata il 29 gennaio e poi promulgata l'11 febbraio. Benché accolto da entusiastiche manifestazioni nel Continente, e funzionale anche a far cessare lo scontro tra le truppe regolari e i ribelli del Cilento, questo atto non modificò l'atteggiamento del governo provvisorio siciliano, che ribadì la volontà dell'isola di reggersi con la Costituzione del 1812. |