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L'uccisione del primo ministro Pellegrino Rossi, avvenuta il 15 novembre 1848, indusse Pio IX ad abbandonare Roma e a rifugiarsi a Gaeta, sotto la protezione di Ferdinando II di Borbone. Dopo alcuni mesi di incertezza, durante i quali il movimento democratico si sviluppò soprattutto in Romagna, nelle Marche e in Umbria, la situazione venne forzata in senso rivoluzionario.
Alla fine di dicembre la Consulta di Stato – un organo esecutivo eletto precedentemente dal Consiglio stesso, ma non riconosciuto da Pio IX – sciolse il Consiglio dei deputati e una Commissione di governo, costituitasi provvisoriamente il 29 dicembre, convocò l'Assemblea costituente dello Stato pontificio, fissando le elezioni a suffragio universale il 21 gennaio. Apertasi l'Assemblea il 5 febbraio, quattro giorni dopo decretò decaduto il potere temporale del papa e proclamò la Repubblica romana.
L'aiuto richiesto dal pontefice alle potenze straniere il 18 febbraio, l'occupazione austriaca di Ferrara avvenuta lo stesso giorno, e le difficoltà incontrate dal governo di Roma nel tentare di stabilire un accordo con gli altri Stati italiani per la convocazione di una Costituente italiana, complicarono ben presto la situazione, già difficile da un punto di vista finanziario e militare. La ripresa della guerra contro l'Austria da parte piemontese fece in ogni caso prevalere a Roma, dove era già presente Garibaldi e dove Mazzini era giunto il 5 marzo, l'idea che la Repubblica avrebbe dovuto concentrare tutte le sue energie per contribuire al successo della prima guerra di indipendenza.
La convinzione che la lotta avrebbe dovuto proseguire venne espressa anche dopo la sconfitta di Novara, in seguito alla quale, anzi, la sera del 29 marzo, l'Assemblea costituente decise di nominare un triumvirato, composto da Mazzini, Armellini e Saffi, cui furono concessi «poteri illimitati per la guerra d'indipendenza e per la salvezza della Repubblica». Di fronte allo sbarco del primo contingente francese a Civitavecchia, il 25 aprile 1849, l'Assemblea reagì così decretando la resistenza ad oltranza. Dopo i primi attacchi alla capitale pontificia, concentratisi la mattina del 30 aprile presso Porta San Pancrazio, Porta Cavalleggeri e le mura vaticane, gli uomini del generale Oudinot furono costretti a ritirarsi in modo piuttosto disordinato. Mentre le ostilità con i francesi si interrompevano per fare spazio a trattative, nel mese di maggio la Repubblica romana dovette fronteggiare un attacco napoletano nel Lazio e una invasione austriaca nelle Legazioni e nelle Marche.
Nel Lazio lo scontro si svolse tra un corpo di spedizione borbonico, condotto da Ferdinando II, che avanzò i primi giorni del mese fino ad Albano, senza attaccare però la capitale, e Garibaldi. Quest'ultimo, dopo aver respinto una colonna borbonica presso Palestrina il 9 maggio, decise di sua iniziativa di attaccare le truppe di Ferdinando a Velletri il 19, e, dopo aver riconquistato la provincia di Frosinone, di spingersi in territorio napoletano e di occupare Arce il 26. Nel frattempo però un corpo di spedizione spagnolo, sbarcato a Gaeta, occupò Terracina il 4 giugno, mentre gli uomini di Ferdinando II, che pure il 17 maggio avevano deciso di ritirarsi per le insistenze del francese Oudinot, rientrarono nel territorio romano e rioccuparono Frosinone il 7 giugno. Nella parte settentrionale dello Stato pontificio l'azione austriaca fu piuttosto facile: qui il corpo di spedizione comandato dal generale Wimpffen incontrò resistenza solo a Bologna, costretta alla capitolazione il 15 maggio, e ad Ancona, che dopo aver sopportato quasi un mese di assedio, cedette agli austriaci il 19 giugno. Il 1° giugno intanto, in seguito ad espliciti ordini del governo francese, Oudinot aveva deciso di rompere una tregua approvata dall'Assemblea costituente romana appena il giorno precedente e di concentrare il grosso delle sue truppe sul Gianicolo. Il 3 giugno, mentre i francesi prendevano possesso di Ponte Milvio, violenti combattimenti si svolsero presso villa Pamphili e villa Corsini (durante gli scontri fu gravemente ferito Goffredo Mameli).
Dopo diversi giorni, in cui si susseguirono sortite dei romani e piccoli attacchi delle truppe di Oudinot, la mattina del 13 giugno l'artiglieria francese cominciò il bombardamento della città: l'apertura di varie brecce nelle difese gianicolensi permise agli assalitori, nella notte tra il 21 e il 22 giugno, di conquistare la prima linea di difesa. Persa anche la seconda linea il 30 giugno, dopo un attacco generale francese durante il quale persero la vita circa 400 italiani, l'Assemblea costituente dichiarò impossibile ogni difesa e accettò le dimissioni del triumvirato. Quindi, il 1° luglio, approvò la nuova Costituzione della Repubblica: essa, la più avanzata in senso democratico di tutte le Costituzioni italiane del Risorgimento, venne quindi proclamata simbolicamente in Campidoglio due giorni dopo, a poche ore dall'ingresso in città dell'armata di occupazione. Galleria immagini
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