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Eventi » Mentana  
 

Nel novembre del 1866, dopo la caduta del governo Ricasoli, si svolse, in Italia, una tornata elettorale – incentrata sulla discussione del ricavato della vendita dei beni ecclesiastici e sulle concessioni da fare alla Chiesa – che scatenò un clima di acceso anticlericalismo.

Giuseppe Garibaldi partecipò ad una serie di incontri in favore dei candidati dell'opposizione e promosse associazioni come l'“Obolo della libertà” che si contrapponeva apertamente all'“Obolo di San Pietro”. Ma il fatto che, ancor di più, accese gli animi dei democratici fu, nel dicembre del 1866, la partenza da Roma degli ultimi reparti militari francesi, come previsto dalla Convenzione di settembre, stipulata nel 1864, che impegnava la Francia a ritirare entro due anni le proprie truppe da Roma purché l'Italia garantisse le frontiere pontificie da qualsiasi aggressione.

 

 
A. Alessandri - Mentana. Veduta generale - novembre 1867 - fotografia - Già Comando della Guardia Nobile della Santa Sede - Roma  

Nonostante, a difesa di Roma, i francesi avessero lasciato la Legione d'Antibo, un piccolo corpo di truppe mercenarie, un manipolo di cospiratori romani, raccolti nel Centro d'insurrezione, invocò l'aiuto di Garibaldi a marciare verso la Città Eterna per completare l'Unità d'Italia.

Garibaldi rispose immediatamente alla richiesta e a Firenze dette vita ad un Centro di emigrazione che iniziò l'organizzazione dei volontari e l'inquadramento degli esuli. Il suo piano prevedeva, infatti, uno scontro iniziale tra alcune bande di volontari e le truppe mercenarie francesi nei territori pontifici e la successiva insurrezione della popolazione romana una volta che la città fosse rimasta senza difesa militare.

A giugno, però, un gruppo di volontari, partito autonomamente da Terni verso lo Stato pontificio, venne subito fermato dall'esercito italiano. Il fallimento di questo primo raffazzonato tentativo insurrezionale, indusse molti esponenti della Sinistra parlamentare e una parte della stampa democratica a dissuadere Garibaldi nel proseguimento dei preparativi del moto.

Ma egli, com'era sua abitudine, non ascoltò questi allarmati consigli e a Monsummano, in Toscana, dove si era recato per curare l'artrite, invitò i suoi uomini a continuare la preparazione del piano insurrezionale che, nel frattempo, era stato modificato e prevedeva la sollevazione della popolazione cittadina come punto di partenza del moto.

 

 
O. Orlandi - Ritorno da Mentana - olio su tela - Museo centrale del Risorgimento - Roma  

Per questo motivo, nei mesi estivi, Garibaldi inviò Francesco Cucchi a Roma, il figlio Menotti nel Mezzogiorno e Giovanni Acerbi al confine con l'Italia centrale. L'11 agosto, a Siena, Garibaldi affermò, in una celebre dichiarazione, che le colonne dei volontari avrebbero marciato verso Roma «alla rinfrescata», ovvero in autunno.

Un deciso mutamento del clima d'opinione a favore del moto garibaldino si ebbe quando il generale francese Dumont, passando in rassegna la Legione d'Antibo, affermò, in un discorso alla truppe, che la Legione era sempre parte integrante dell'esercito francese.

Una parte della stampa italiana riprese polemicamente quella dichiarazione e accusò la Francia di ingerenza sulla politica italiana. Sulla scia di questi eventi, Garibaldi accelerò la preparazione del moto e fissò l'inizio dell'azione per il 15 settembre con un'insurrezione che sarebbe dovuta scoppiare nella provincia di Viterbo e poi sarebbe stata seguita dall'invasione di volontari.

La febbrile attività garibaldina, cui non corrispondeva però un identico seguito tra la popolazione romana, preoccupò il governo italiano che decise, per mettere fine all'avventura insurrezionale, di arrestare Garibaldi il 24 agosto a Sinalunga e di condurlo nella fortezza di Alessandria.

L'arresto, però, non solo non impedì la continuazione della preparazione del moto, ma segnò anche l'avvio di numerose manifestazioni di solidarietà, in molte città, nei confronti di Garibaldi, il quale, così, sull'onda di questi avvenimenti, venne rilasciato e ricondotto sull'isola di Caprera sorvegliato da ben 9 navi da guerra della regia marina che incrociavano al largo.

Anche questo compromesso, però, non fermò l'organizzazione del moto – che prevedeva l'ingresso nello Stato della Chiesa di tre bande di volontari, la prima diretta a Viterbo guidata da Acerbi, la seconda nella Sabina comandata dal figlio Menotti e la terza verso Velletri capeggiata da Nicotera – e, nei primi giorni di ottobre, alcuni gruppi di volontari entrarono nei territori pontifici.

 L'opinione pubblica  europea (oltre naturalmente a quella italiana) guardava con preoc cupazione l'evoluzione degli avvenimenti e il governo francese, dopo una serie di colloqui e trattative con il governo italiano, prese la decisione di inviare un corpo militare di spedizione a Roma per fermare ogni velleità dei garibaldini.

 


 

 
G. Francini - Villa Glori. Mandorlo sotto il quale il 23 ottobre 1867 cadde ferito a morte Enrico Cairoli  - 1870 - fotografia - Musei Civici - Raccolta Bertarelli - Milano  

In questo clima di timori e attese, speranze e paure, Garibaldi riuscì ad organizzare l'ennesima fuga romantica della sua vita.

La notte del 14 ottobre, infatti, riuscì ad eludere la sorveglianza delle navi della regia marina e fuggì da Caprera, arrivò a La Maddalena, si imbarcò su una imbarcazione giunta da Livorno comandata da Stefano Canzio, e, il 19, approdò a Vada, in Toscana. Il giorno successivo, il 20 ottobre, a Firenze, venne accolto da manifestazioni di giubilo.

Se la fuga di Garibaldi aveva avuto successo, l'insurrezione a Roma, però, era completamente fallita. Un piccolo drappello di uomini guidato da Cucchi non era riuscito ad impadronirsi del Campidoglio, mentre i fratelli Enrico  Cairoli e Giovanni Cairoli, intercettati a Villa Glori mentre stavano cercando di unirsi ad un altro gruppo di rivoltosi, erano stati uccisi.

Nonostante questi fallimenti, Garibaldi decise, ugualmente, di dare l'avvio alla spedizione.

Partì da Terni e il 23 ottobre raggiunse Passo Corese, dove Menotti aveva insediato il quartiere generale, e da lì, al comando di circa 8 mila uomini, si diresse verso la cittadina di Monterotondo, sulla strada per Roma. Contemporaneamente, altre colonne marciavano verso Roma: Acerbi nel viterbese, Nicotera a Frosinone e a Velletri, Pianciani a Tivoli. Garibaldi si spinse fino alle porte di Roma, a Monte Sacro, ma la città non insorse e il generale decise di ritornare a Monterotondo.

La situazione politico-militare, per i volontari, volgeva al peggio: il governo italiano, infatti, aveva sconfessato pubblicamente il tentativo insurrezionale. Il 30 ottobre, inoltre, a Civitavecchia era iniziato lo sbarco del corpo di spedizione francese e, infine, la condizione dei volontari – privi di adeguati rifornimenti di cibo, con uno scarso vettovagliamento e con molte diserzioni – era estremamente difficile.

Garibaldi decise, allora, di spostarsi su Tivoli, in cerca di una migliore posizione militare, ma il 3 novembre 1867, nei pressi di Mentana, nell'agro romano, un gruppo di più di 4 mila volontari venne intercettato da circa 9 mila soldati delle truppe franco-pontificie. Lo scontro fu cruento e i reggimenti di Napoleone III, muniti dei moderni fucili chassepots a retrocarica e a lunga gittata, ebbero il sopravvento sui garibaldini e obbligarono alla ritirata.

Garibaldi venne arrestato a Figline in Toscana e rinchiuso nuovamente nel forte di Varignano il 5 novembre. Il 25 novembre, infine, cessò la detenzione e ritornò a Caprera.

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