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I movimenti politici » La cultura antirisorgimentale  
 

I più importanti oppositori del Risorgimento furono, da un lato, i sostenitori dei regnanti legittimisti, seppur con posizioni politiche molto differenti nel Nord della penisola e nel Mezzogiorno continentale; e, dall'altro lato, gli esponenti di una cultura cattolico-temporalista che difendeva il Papato ed era impegnata in una risoluta battaglia contro la modernità: in primo luogo l'illuminismo, la rivoluzione francese e le loro eredità politico-culturali.

 
Papa Gregorio XVI  

Dopo l'occupazione di Roma nel 1798 da parte delle truppe napoleoniche e l'erezione di un governo repubblicano ostile alla Chiesa e più in generale alla dimensione religiosa, infatti, si diffuse in una parte della élite italiana l'idea che la distruzione del Papato e la proliferazione di idee anticristiane fossero il vero obiettivo del materialismo illuminista.

La condanna antilluministica fu ribadita solennemente da papa Gregorio XVI con l'enciclica del 1832 Mirari Vos come risposta alle rivolte scoppiate nell'anno precedente.


 

 
   

Le tesi dell'enciclica – riprese successivamente anche nella Singulari Vos del 1834 – denunciavano le dottrine del cattolicesimo liberale, pur senza mai nominarlo, l'indifferentismo religioso, la libertà di stampa, la libertà di coscienza, il diritto dei sudditi di ribellarsi ai principi ed, infine, il principio della separazione tra Stato e Chiesa.

Alcune tracce della cultura legittimista, invece, si possono rintracciare nell'opera politica e intellettuale di alcuni protagonisti della restaurazione: da Antonio Capece Minutolo principe di Canosa che pubblicò, nel 1820, I Piffari di montagna al padre teatino Gioacchino Ventura che fondò a Napoli, nel giugno del 1821, l'Enciclopedia Ecclesiastica e Morale; dal marchese Cesare Taparelli d'Azeglio, padre del più noto Massimo, che animò in Piemonte, prima, le «Amicizie Cattoliche» e, poi, il periodico «l'Amico d'Italia» al conte Monaldo Leopardi, che a Pesaro dette vita al periodico «La Voce della Ragione» e che pubblicò, nel 1832, i Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831.

In Piemonte, uno dei maggiori esponenti del partito anti-risorgimentale, quasi una sorta di anti-Cavour, fu Clemente Solaro della Margarita – ministro degli Esteri del Regno di Sardegna dal 1835 al 1847 e sostenitore intransigente del legittimismo – che osteggiò la politica di Cavour durante la sua attività di deputato al Parlamento subalpino dal 1854 al 1860.

Nel suo libro più importante, il Memorandum storico-politico, apparso a Torino nel 1851, sostenne che il Piemonte avrebbe dovuto agire soprattutto in Svizzera e in Lombardia per ingrandire il proprio territorio e che il Regno di Sardegna, se avesse represso con le armi l'insurrezione di Milano del 1848, avrebbe potuto raggiungere due ottimi risultati: da un lato, ottenere alcuni compensi territoriali e, dall'altro, evitare il contagio rivoluzionario.

Dopo la proclamazione della Repubblica romana e la fuga del papa a Gaeta, nel 1849, Pio IX scrisse l'enciclica Nostis et nobiscum in cui le rivoluzioni venivano bollate come «un diabolico progetto» per abbattere «la religione cattolica in Italia». A partire dal 1850, svolse un ruolo fondamentale in questa battaglia, al tempo stesso, politica e culturale, la Compagnia di Gesù e, in particolare, la rivista «Civiltà Cattolica» i cui redattori più importanti furono Luigi Taparelli d'Azeglio, Matteo Liberatore, Antonio Bresciani e Giovanni Battista Pianciani. Nel primo fascicolo della rivista, nel 1850, Matteo Liberatore dichiarava che la «rivoluzione italiana» era «anticristiana e anticattolica» e si configurava soltanto come un'ultima tappa nella lunga catena di attacchi alla fede cattolica iniziata con la riforma protestante.

Nel marzo del 1861, dopo che Pio IX aveva condannato il nuovo Regno d'Italia come «negazione di Dio», «Civiltà Cattolica» descrisse l'unificazione italiana come «mostruosa», «fittizia», «innaturale» e metteva in guardia i cattolici dall'«idolatria della patria» e dal complotto repubblicano «sotto la guida occulta della massoneria».

Nel 1864 Pio IX ribadì la condanna verso le dottrine liberali e le “cosiddette libertà moderne” come la libertà di pensiero, di coscienza, di parola e di stampa, tracciando una linea di demarcazione invalicabile tra il cattolicesimo e la modernità, nel Sillabo, ovvero il repertorio sui “principali errori della nostra età”, pubblicato insieme all'enciclica Quanta Cura. Il documento pontificio comparve nel dicembre del 1864, pochi mesi dopo la stipula della Convenzione di settembre.

Di fatto, dall'incontro tra le posizioni legittimiste e quelle cattolico-temporaliste, scaturirono due diffuse interpretazioni storico-politiche. La prima affermava che la stragrande maggioranza del popolo italiano, in particolar modo i contadini, era rimasta ostile al Risorgimento, leale agli ex regnanti, alla propria fede e alla gerarchia ecclesiastica.

La seconda, riprendendo un vecchio topos già applicato alla Rivoluzione francese, sosteneva che il Risorgimento era il prodotto di una cospirazione razionalista e materialista ordita dalle sette massoniche e dai liberali che miravano a distruggere il cristianesimo e il papato. Gli uomini politici e gli intellettuali, i diplomatici e gli ecclesiastici, i generali e gli scrittori che alimentarono la cultura antirisorgimentale respingevano, dunque, l'intero progetto sul quale era stato costruito il nuovo Stato perché prodotto di una rivoluzione “anti-italiana” e “anti-cristiana”.

 


 

  Antonio Capece Minutolo

Un autore che ha profondamente inciso nella diffusione della cultura antirisorgimentale nel Mezzogiorno, dopo l'Unità d'Italia, fu il napoletano Giacinto De' Sivo. Lo storico legittimista sosteneva, infatti, che il governo piemontese aveva sfruttato la causa dell'indipendenza italiana per deporre i legittimi sovrani d'Italia e che il progetto nazionale era opera di una piccola setta priva di qualsiasi pretesa di rappresentanza.

Quest'opera di «conquista regia» – realizzata in collaborazione tra il Piemonte, le «sette di rivoluzionari», la camorra e criminali comuni come «il pirata» Garibaldi – aveva distrutto la fiorente realtà del Regno delle Due Sicilie che veniva descritto come «un reame secondo a nessuna nazione incivilita» con un commercio «florido» e in cui vigeva una «piena libertà civile».

Nei decenni che seguirono l'Unità d'Italia le interpretazioni di De' Sivo furono riprese da numerosi trattati e memorie. Nel 1868 vennero pubblicati i tre volumi, postumi ed incompleti, della Storia della Rivoluzione di Roma del romano Giuseppe Spada in cui l'eroe dei due mondi veniva dipinto come «un amante frenetico della libertà» che «affogava la libertà degli altri» e che quindi si era trasformato in un «tiranno».

Nel 1882 Michele De Sangro ribadì la tesi, ormai diffusa da decenni, che il processo di unità nazionale aveva sostanzialmente prodotto un'Italia «anti-italica» e «anti-cristiana».

Sul finire dell'Ottocento, infine, l'irlandese Patrick Keyes O'Clery, volontario pontificio nel 1867 a Mentana e a Roma nel 1870, pubblicò due memorie, The revolution of the barricades e The making of Italy, per difendere il papato e screditare il Risorgimento.

Nelle memorie, che però hanno avuto una scarsa diffusione in Italia, oltre ad essere descritte le presunte atrocità dei garibaldini ai danni di sacerdoti e donne durante la Repubblica romana del 1849, si sostenne che l'unità d'Italia era stata pianificata congiuntamente da Cavour e dall'ammiraglio di Persano con Garibaldi a fare la parte dello «sfondatore di porte aperte».


Schede collegate: Antonio Bresciani

 

Una storia parallela

Lo storico Mario Isnenghi analizza una serie di testi, pubblicati tra il 1849 e il 1851, per mano soprattutto di ecclesiastici, da cui scaturisce una sorta di storia parallela e contraria del Risorgimento. Il quadro che viene raffigurato prende le forme di «una galleria rovesciata dei personaggi risorgimentali».

M. Isnenghi, Una storia parallela. L'anti-mito garibaldino, in Studi politici in onore di Luigi Firpo, a cura di S. R. Ghibaudi - F. Barcia, IV, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 476-486.

 

I romanzi di Padre Bresciani

Nel saggio che riproduciamo viene esaminata la figura di padre Antonio Bresciani attraverso i suoi romanzi, pubblicati a puntate su «Civiltà Cattolica», che si prefiggevano di smascherare il legame tra protestantesimo e rivoluzione e, di conseguenza, tra romanticismo e liberalismo.

N. Del Corno, Letteratura e anti-risorgimento: i romanzi di Antonio Bresciani, in «Memoria e Ricerca», nr. 24, 2007, pp. 21-32.

 

L'anti-mito garibaldino

In uno dei capitoli delle opere più note di padre Antonio Bresciani, Lionello, vi è una risposta dissacrante e demitizzante dell'immagine di Garibaldi come «eroe di Montevideo» che Alexandre Dumas aveva reso celebre in una sua opera, Montevideo ou une nouvelle Troie, pubblicata nel 1850.

A. Bresciani, Lionello, in «Civiltà Cattolica», 3, 1852, X, pp. 398-421.

 

Una rivoluzione anticattolica

Su «Civiltà Cattolica», nel 1850, Matteo Liberatore traccia una linea di congiunzione tra il razionalismo, il protestantesimo e la rivoluzione giungendo a definire il processo risorgimentale come una «rivoluzione anticristiana e anticattolica».

M. Liberatore, Razionalismo politico della rivoluzione italiana, in Civiltà Cattolica, a cura di G. De Rosa, S. Giovanni Valdarno, Luciano Landi Editore, 1971, pp. 185-199.

 

Chiesa libera in libero Stato

In un articolo apparso su «Civiltà Cattolica» il 17 luglio 1862, padre Luigi Taparelli d'Azeglio contrasta l'idea che la religione possa essere relegata ad un fatto solamente privato. Il gesuita con un abile artificio retorico trasforma, nel titolo, il tradizionale motto cavouriano «libera Chiesa in libero Stato» in «Chiesa libera in libero Stato».

L. Taparelli d'Azeglio, Chiesa libera in libero Stato, in P. Scoppola, Chiesa e Stato nella storia d'Italia, Bari, Laterza, 1967, pp. 15-21.

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