La nuova Italia e la Chiesa cattolica
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Dopo la presa di Roma, il 20 settembre del 1870, la Chiesa cattolica aveva perso qualsiasi sovranità temporale e il governo italiano cercò di “istituzionalizzare” il rapporto tra la Santa Sede e lo Stato italiano riconoscendo al papa quelle garanzie necessarie per il libero svolgimento del suo magistero spirituale. Per questo motivo, il 13 maggio del 1871, il governo italiano guidato da Giovanni Lanza emanò la legge n. 214 detta “delle guarentigie”, cioè delle garanzie, con cui lo Stato italiano regolava, unilateralmente, «le prerogative del Sommo Pontefice e le relazioni della Chiesa con il Regno d'Italia». La legge delle guarentigie fu il tentativo di applicazione della formula cavouriana, “Libera Chiesa in libero Stato”, resa celebre dal discorso sulla questione di Roma capitale tenuto dallo statista piemontese alla Camera dei deputati del 27 marzo 1861. In quell'occasione, Cavour, rivolgendosi al papa, sostenne che il potere temporale non era più «garanzia di indipendenza» e che, se avesse rinunziato ad esso, il Regno d'Italia avrebbe offerto quella libertà che la Chiesa aveva chiesto invano «da tre secoli a tutte le grandi potenze cattoliche». Il provvedimento, però, emanato unilateralmente dal governo, non venne mai riconosciuto dal papa e la “questione romana” si sarebbe risolta solamente nel 1929 con i Patti lateranensi e il Concordato. La legge era costituita da due titoli. Nel primo, relativo alla Prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, venivano riconosciute al papa alcune attribuzioni simili a quelle di un capo di Stato, una dotazione annua a carico del bilancio dello Stato italiano, l'inviolabilità sui palazzi apostolici, la facoltà di poter svolgere liberamente il magistero spirituale, il diritto di rappresentanza diplomatica e la possibilità di avere autonomi collegamenti postali. Nel dettaglio, l'articolo 1 riconosceva il pontefice come «sacro e inviolabile», mentre l'articolo 2 sanciva che l'attentato contro il papa o la «provocazione a commetterlo» sarebbe stato punito con le stesse sanzioni previste per l'attentato contro la persona del re. L'articolo 3 prevedeva, inoltre, che il governo italiano nel territorio nazionale avrebbe mantenuto le «preminenze d'onore riconosciutegli dei sovrani cattolici» e che il papa aveva la facoltà di poter disporre di un numero di guardie armate per garantire la sicurezza della sua persona e per la custodia dei sacri Palazzi. Con l'articolo 4 lo Stato italiano offriva alla Santa Sede una dotazione annua di Lire 3.225.000, esente da ogni tassa, e che sarebbe stata inserita nel «Gran Libro del debito pubblico, in forma di rendita perpetua ed inalienabile nel nome della Santa Sede». Questa dotazione annua, «pari a quella iscritta nel bilancio» dell'ex Stato pontificio, sarebbe stata utilizzata per i vari «bisogni ecclesiastici» come la manutenzione e la custodia del palazzi apostolici, dei musei e della biblioteca, le spese per «gli addetti della Corte Pontificia» e gli stipendi e le pensioni di tutti gli impiegati. L'articolo 5 prevedeva, inoltre, che il pontefice potesse continuare a godere dei palazzi apostolici, vaticano e lateranense, nonché della villa di Castelgandolfo, i quali furono dichiarati beni inalienabili del sommo pontefice. Gli articoli 6, 7, 8, 9 e 10 garantivano al pontefice il libero svolgimento del suo magistero spirituale: infatti, al divieto per ogni autorità giudiziaria o politica di «porre limitazione alla libertà personale dei cardinali» durante il periodo di vacanza della sede pontificia, si combinava il divieto per tutti gli ufficiali di pubblica autorità di «introdursi nei palazzi» e nei «luoghi di abituale residenza» del papa o di procedere a «perquisizioni o sequestri di carte, documenti, libri o registri» negli uffici delle Congregazioni pontificie che avessero attribuzioni «meramente spirituali». L'articolo 11 riconosceva alla Santa Sede il diritto di rappresentanza diplomatica, mentre l'articolo 12 sanciva la possibilità di poter corrispondere con l'episcopato e tutto il mondo cattolico senza alcuna «ingerenza del governo italiano». A tal fine, veniva riconosciuta la facoltà di poter stabilire un ufficio postale pontificio che avrebbe potuto corrispondere «in pacco chiuso» con gli altri uffici postali esteri e sarebbe stato esente da ogni «tassa o spesa del territorio italiano». L'articolo 13, infine, che concludeva il titolo primo della legge delle guarentigie, riconosceva ai seminari di Roma e delle sedi suburbicarie – ovvero le diocesi laziali attorno a quella di Roma – la facoltà di dipendere esclusivamente dalla Santa Sede senza alcuna ingerenza delle autorità scolastiche del Regno. Il titolo secondo regolava, invece, le relazioni tra lo Stato italiano e la Santa Sede. L'articolo 14, in particolare, aboliva ogni restrizione «all'esercizio del diritto di riunione dei membri del clero» mentre l'articolo 15 sanciva la rinuncia del governo al «diritto di legazia apostolica in Sicilia» e, soprattutto, aboliva il giuramento di fedeltà al re per i vescovi. Con l'articolo 16 lo Stato si spogliava di alcune prerogative giurisdizionaliste. L'articolo, infatti, aboliva «l'exequatur e il placet regio e ogni altra forma di assenso governativo per la pubblicazione e l'esecuzione degli atti delle autorità ecclesiastiche». Con questo articolo lo Stato rinunciava, di fatto, ad ogni diritto di nomina o proposta alle sedi vescovili. Tuttavia, si riservava di sottoporre la nomina papale alla propria approvazione fino a che non si fosse riordinata la proprietà ecclesiastica come previsto dall'articolo 18 che rimandava ad un'ulteriore legge che avrebbe dovuto provvedere «al riordinamento, alla conservazione ed alla amministrazione» delle proprietà ecclesiastiche del Regno. Il provvedimento ulteriore, però, non venne mai promulgato e il governo italiano mantenne l'exequatur. In questo modo, poté rifiutare, in più occasioni, la propria approvazione a diverse nomine vescovili. La legge, redatta secondo il progetto cavouriano della separazione tra Stato e Chiesa, incontrò l'opposizione sia dei giurisdizionalisti, contrari all'abolizione dell'exequatur e del placet regio, che soprattutto dei cattolici. Pio IX non riconobbe la legittimità della norma che gli era stata imposta – e che considerò come un'usurpazione e un atto unilaterale – si proclamò prigioniero dello Stato Italiano chiudendosi all'interno dei palazzi vaticani, si appellò ai governi e alle nazioni cattoliche e, il 15 maggio 1871, emise l'enciclica Ubi Nos con la quale condannò la legge delle guarentigie espressione di un governo che dimostrava uno «sfrontato disprezzo per la Nostra dignità ed autorità pontificia». «Il civile principato della Santa Sede», scrisse Pio IX nell'enciclica, era necessario al pontefice per poter agire in «pienissima libertà» senza essere soggetto «a nessun Principe o civile Potestà». Inoltre, la legge non presentava quelle dichiarate “garanzie” di stabilità perché, in quanto legge interna, poteva essere in ogni momento abrogata da una successiva legge ordinaria dello Stato. A nulla valse neanche la successiva dichiarazione con la quale si affermò che la legge delle guarentigie era una legge fondamentale dello Stato. La frattura tra Stato e Chiesa in Italia, apertasi con la presa di Roma il 20 settembre del 1870, sarebbe stata superata solamente nel 1929 con la stipula dei Patti Lateranensi. Di seguito il testo della legge n. 214 del 13 maggio 1871 per le guarentigie delle prerogative del sommo pontefice e della Santa Sede e per le relazioni della Chiesa con lo Stato.
Le relazioni tra Chiesa e Stato Lo storico e giurista Arturo Carlo Jemolo ripercorre brevemente le principali tappe del rapporto tra Stato e Chiesa, dall'unità d'Italia alla legge delle guarentigie, attraverso gli atti più importanti prodotti dalla Santa Sede. A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, Einaudi, 1990 (I edizione 1948), pp. 186-190.
Secondo lo storico gramsciano Giorgio Candeloro la legge delle guarentigie ebbe il merito di evitare che il contrasto con la Santa Sede si trasformasse in una lotta religiosa pericolosa per l'unità del Paese appena raggiunta e contribuì a stemperare il clima politico internazionale. G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma, Editori Riuniti, 19824, pp. 132-136.
Lo storico Roberto Pertici inserisce la legge delle guarentigie in un processo di laicizzazione della vita nazionale che ha inizio nell'ottobre del 1860 con il progetto cavouriano di annessione delle provincie dell'Italia centrale e meridionale. Nella legge, inoltre, convivevano esigenze e interpretazioni differenti che saranno superate solamente con i Patti lateranensi del 1929. R. Pertici, Chiesa e Stato in Italia, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 30-35. |