Gli austriaci
Gli austriaci
Gli articoli più visualizzati
geografia dell'Italia Cronologia
Italia prima e dopo l'Unità Garibaldi italia preunitaria Parole suoni ed immagini inno Giuseppe Mazzini I movimenti, i valori, i libri L'Italia negli anni del Risorgimento La memoria e le interpretazioni del Risorgimento Viaggi nel Risorgimento Cavour Antologia di poesie Sito ottimizzato
Sito ottimizzato per una risoluzione di 1024x768px o superiori.
|
Dopo i trattati di Vienna del 1814-1815 la penisola italiana diviene di fatto, salvo il Regno di Sardegna, un vero e proprio protettorato austriaco. Nel secolo precedente, prima dell'arrivo di Napoleone, Milano e la Lombardia austriaca avevano costituito un territorio isolato geograficamente dal resto dell'Impero. Un avamposto, insomma, importante sì, ma alla fine solo un avamposto dell'influenza di Vienna sulla penisola, dominio il quale, insieme alla Toscana degli Asburgo Lorena, serviva da contrappeso alla forte presenza dei Borboni nel grande Regno dell'Italia meridionale e al loro vasto retroterra franco-spagnolo. Adesso, dopo il 1815, tutto invece era diverso. Non solo perché grazie alla conquista del Veneto esisteva una piena continuità territoriale tra i domini diretti italiani e il resto dell'Impero, ma perché la fine della potenza francese e la definitiva scomparsa dallo scacchiere europeo di quella spagnola avevano consegnato l'intera Italia nelle mani di Vienna. Dinastie imparentate con gli Asburgo governavano il Granducato di Toscana e il Ducato di Modena, mentre Parma e Piacenza erano affidate alla moglie di Napoleone, Maria Luisa, comunque figlia di un imperatore d'Austria. D'altra parte un trattato di assistenza legava il Regno di Napoli a Vienna e così pure la presenza militare austriaca era posta a garanzia dello Stato della Chiesa. Per conquistare libertà e indipendenza gli italiani non avrebbero mai potuto evitare, insomma, di scontrarsi militarmente con l'Austria.
Questa nuova situazione geopolitica portò ad un inasprimento dei modi di governo nel Lombardo-Veneto e ad un peggioramento delle sue condizioni generali. Come scrisse Carlo Cattaneo, mentre nel Settecento l'Austria «aveva dovuto in un certo senso corteggiare li interessi e i sentimenti» delle popolazioni lombarde separate e lontane dal suo dominio diretto, sicché «fu quello il secreto della pace e della prosperità che ebbe il Regno di Maria Teresa fra noi», ora non più. Ora prevalse dovunque una forte centralizzazione sotto il diretto controllo di Vienna, anche se dal punto di vista formale i domini italiani vennero affidati con il titolo ufficiale di Regno alla guida di un viceré di stanza a Milano. Il governo locale era lasciato in mano ai possidenti ma l'apparato statale, invece, macchinoso e iper formalistico, e perciò iper burocratizzato, era caratterizzato da una istruzione e decisione delle pratiche affidate per intero a organi dipendenti direttamente da Vienna. Pur tuttavia l'apparato locale, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, era affidato quasi per intero, benché solo per la sua gestione, a sudditi lombardo-veneti. Ma tutto, peraltro, veniva deciso a Vienna: perfino l'ordinamento delle due università di Pavia e di Padova dovette uniformarsi nel 1816 a quello delle università austriache. A garantire che tutto procedesse come prescritto ci pensava l'onnipresente polizia dove, come del resto nella magistratura, era preponderante la presenza di elementi "tedeschi", anche se di un tipo particolare: si trattava, infatti, per lo più, di sudditi del Tirolo meridionale, cioè di trentini, perfetti conoscitori della lingua italiana ma totalmente fedeli alla causa imperiale. Nel Lombardo-Veneto un commissario di polizia contava molto di più di un qualsiasi funzionario: «Chi veramente regna e sovrasta a tutti gli uffici delle province lombardo-venete – scrisse Cesare Correnti – è la polizia […] in sostanza arbitra pressoché assoluta non degli affari, ma delle persone, e specialmente di tutti gli impiegati». Non la pensava molto diversamente da lui Carl Czoernig, uno dei più acuti funzionari austriaci presenti nella penisola, il quale annotava: «Sotto l'egida della polizia si nasce, si vive e si muore […] E si può dire che in Italia non esista nessun rapporto sociale che non sia sottoposto al suo diretto interessamento».
Con tutto ciò il governo austriaco si segnalava per la sua onestà e correttezza amministrative, per la cura, soprattutto in Lombardia, verso l'istruzione elementare – che nelle città era direttamente pagata dal governo – e verso la costruzione di una rete di comunicazioni stradali, che nel Regno italiano era la più fitta della monarchia. Rappresentando l'economia più fiorente dell'intero Impero, il Lombardo-Veneto era anche la regione che contribuiva maggiormente alle finanze imperiali: del suo gettito tributario rimaneva però nel territorio solo in media il 40% del totale, mentre il resto prendeva la via di Vienna destinato al governo centrale e all'esercito. È infine da ricordare in questo ambito la pesantissima imposta straordinaria di 20 milioni di lire austriache cui, dopo il ritorno degli austriaci a Milano in seguito alla vittoria nella prima guerra di indipendenza, furono sottoposte le principali famiglie dell'aristocrazia milanese, ritenute da Radetzky responsabili delle Cinque giornate. Si aggiunga a ciò dopo il 1849 la pratica dei prestiti forzosi imposti a varie categorie economiche. Nell'ultimo decennio del suo dominio, comunque, Vienna, incalzata dall'iniziativa cavouriana e dalle continue trame della cospirazione mazziniana, inasprì sempre di più il suo governo, aumentandovi costantemente la presenza dell'elemento militare. Un piano per la lotta di classe In questo interessantissimo documento il conte Hartig, altissimo funzionario del governo austriaco in Lombardia, propone a Vienna di adottare misure di esproprio ai danni degli aristocratici lombardi a favore dei loro contadini. È una dimostrazione della spregiudicatezza di cui poteva far mostra un regime pur iperconservatore e tradizionalista come quello austriaco pur di conservare i propri domini. Come del resto era già avvenuto poco prima in Galizia, dove Vienna era riuscita a mobilitare gli strati contadini contro i proprietari liberali. A. Sked, Radetzky e le armate imperiali. L'impero d'Austria e l'esercito asburgico nella rivoluzione del 1848, Bologna, Il Mulino, 1983, pp. 428-430.
In queste pagine scritte alla vigilia della rivoluzione del 1848, il patriota Cesare Correnti, studioso di economia e fatti sociali, disegna un quadro inevitabilmente negativo di alcuni aspetti significativi del dominio austriaco in Lombardia. Scritti scelti di Cesare Correnti, I, 1831-1847, a cura di T. Massarani, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato, 1891, pp. 508-519. Galleria immagini
|