La vita quotidiana
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Come nelle altre città europee dell'Ottocento, la vita dei principali centri della penisola (da Milano a Torino a Napoli) era scandita dalla frequentazione di numerosi luoghi di ritrovo e di incontro: associazioni, club, caffè, circoli, società filantropiche, gabinetti di lettura, salotti di conversazione. La milanese «Rivista Europea», nel 1844, poteva ben scrivere che l'Ottocento era «il secolo delle associazioni».
Non soltanto delle associazioni segrete, ma anche di quelle appositamente pensate per il divertimento e per l'intrattenimento dell'élite urbana: i nobili, anzitutto, ma anche quella «notabilità civile» composta variamente da possidenti, banchieri, commercianti, professionisti, funzionari pubblici e militari. Sin dai primi anni della Restaurazione, tipiche furono soprattutto le associazioni denominate «nobili società» o «casini dei nobili» (o, ancora, «conversazioni della nobiltà»), riservate agli aristocratici. L'iscrizione ai casini dei nobili era accompagnata dal pagamento di una quota associativa individuale, che serviva a finanziare l'attività ricreativa che vi si svolgeva: era possibile leggere gazzette e riviste, conversare in intimità, giocare a carte o a biliardo, partecipare a feste da ballo. Caratteristiche e finalità analoghe ebbero i «casini dei civili», cioè dei borghesi: a seconda dei luoghi in cui sorsero poterono chiamarsi «Casino dei civili» (così in Sicilia), «Società del Giardino» a Milano, «Società del Casino» a Bologna. I circoli e le associazioni erano luoghi di socialità tipicamente (e a volte esclusivamente) maschile; spesso accoglievano anche le donne, soprattutto in occasione delle feste da ballo, ma non solo. Come recita, ad esempio, il regolamento della «Società del Giardino» di Milano (1818): «Le signore parenti dei Soci sono ammesse nelle sale della società senza limiti di tempo». Se fino a tutti gli anni Trenta dell'Ottocento loisir nobiliare e loisir civile restano distinti, nei decenni seguenti presero forma nuove società di divertimento non riservate esclusivamente agli aristocratici, ma accessibili anche all'alta borghesia: ne sono un esempio la «Società dell'Unione» a Milano o il «Circolo del Whist» a Torino, che ebbe Cavour tra i fondatori. Come sottolineato da Marco Meriggi nei suoi studi, per i primi decenni dell'Ottocento il «gioco d'associazione» equivalse al «gioco di distinzione»: ci si associava, sostanzialmente, per il gusto di distinguersi. Sebbene la politica non rientrasse negli scopi dell'associazione, nel quadro di un regime illiberale l'associazionismo svolse un ruolo importante: circoli e associazioni furono, insieme ai salotti privati, gli unici luoghi di discussione e di dibattito anche politico, di formazione di un'opinione pubblica, oltre che di informazione. Basti pensare al fatto che nei circoli e nelle associazioni esisteva la possibilità di condividere le spese di abbonamento alle sempre più numerose pubblicazioni periodiche sia italiane sia straniere. Sotto questi aspetti le potenzialità anche politiche della vita associativa emersero soprattutto durante gli avvenimenti del 1848: a Milano, nei giorni dell'insurrezione antiaustriaca, il potere venne assunto in gran parte dalle stesse persone che erano state protagoniste della vita associativa negli anni precedenti. Quanto all'associazionismo culturale, esso fu espressione di una socialità non più soltanto caratterizzata da un'esigenza di autoidentificazione e di riconoscimento sociale: accanto alle tradizionali accademie letterarie e artistiche, l'elemento di maggiore novità fu rappresentato in questo campo dalle associazioni di carattere scientifico, come ad esempio quelle agrarie o medico-statistiche, la cui specificità stava nel fatto che intendevano conseguire risultati anche sul piano pratico, che si trattasse della revisione dei codici e delle leggi dello Stato, oppure di aggiornare le pratiche in uso in campo agricolo, medico-sanitario e così via. Al di là dei risultati concretamente raggiunti, le varie associazioni scientifiche svolsero un ruolo comunque importante: nel contesto degli Stati d'antico regime dell'epoca espressero, nota ancora Meriggi, una «progettualità» della società civile, una «socialità di programma» che intendeva incidere sulla sfera civile e su quella politica. Esisteva poi anche un associazionismo di carattere filantropico con progetti destinati alle classe subalterne. In questo senso operavano, ad esempio, le associazioni per l'allestimento di asili per l'infanzia o, per esempio, la «Società di patronato pei liberati dal carcere» attiva a Milano, la quale si occupava del reinserimento nella società degli ex carcerati redenti. Il luogo maggiormente caratteristico della socialità ottocentesca, quello che rappresenta la scelta mondana preferita dall'aristocrazia e dalla borghesia della penisola, fu indubbiamente il salotto privato, per molti aspetti paragonabile alla corte settecentesca. Scopo del salotto era lo stare insieme, il conversare. E la conversazione poteva naturalmente riguardare anche la situazione politica: sebbene i salotti risorgimentali conservassero un carattere squisitamente mondano, costituirono tuttavia un surrogato di associazionismo politico al tempo vietato, un luogo di confronto tra posizioni e opinioni anche diverse.
Come sottolineato da Maria Teresa Mori in un suo studio, il salotto era «per sua natura un luogo cosmopolita, dai tratti aperti, dove l'élite locale che ne costituisce il nucleo centrale (gli habitués) si mescola ad un'élite “sovraregionale” che vagabonda di città in città per abitudine […] o per necessità, costretta dalle contingenze del secolo». Luogo eclettico e mondano, dunque, il salotto ebbe anche la specificità di mescolare al suo interno uomini e donne, giovani e meno giovani. La donna, in particolare, era la regina del salotto: era lei, infatti, e, più precisamente, la padrona di casa, a condurre la conversazione, a introdurre i nuovi ospiti, a decidere chi includere e chi escludere dal proprio cenacolo. Attraverso la gestione del salotto alcune colte aristocratiche della penisola (da Chiara Maffei a Cristina di Belgiojoso, da Carlotta Lenzoni a Isabella Albrizzi) si ritagliarono un ruolo pubblico di notevole prestigio. Un luogo della socialità urbana erano anche i caffè pubblici, al cui interno il consumo del caffè e delle bevande alcoliche era abbinato alla lettura dei giornali. Fra i luoghi della socialità e del divertimento cittadino c'è soprattutto il teatro. Accanto a quelli delle principali città (la Scala a Milano, La Fenice veneziana, l'Apollo o l'Argentina a Roma, il San Carlo a Torino) ogni centro cittadino ha il suo teatro frequentato da un pubblico vasto e diversificato: aristocratici, esponenti della borghesia finanziaria e produttiva, studenti, militari. Anche il teatro riflette le diverse gerarchie e articolazioni sociali, ravvisabili nel modo in cui gli spettatori si distribuiscono fra platea, palco e loggioni. In particolare, il possesso di un palco è elemento di distinzione e di affermazione di status. Le autorità operavano un forte controllo sui teatri, soggetti anche a regolamenti e a un complesso di norme che disciplinavano la condotta del pubblico in sala. Ciò non impediva, in realtà, che le sale fossero luoghi molto rumorosi, giacché il pubblico difficilmente riusciva a contenere gli entusiasmi e le critiche. La più forte partecipazione emotiva si registrò negli anni Quaranta dell'Ottocento, specialmente attraverso la rappresentazione delle opere di Giuseppe Verdi. Come ha efficacemente scritto Carlotta Sorba, la sollecitazione ad impugnare le armi passò attraverso l'opera lirica, che accompagnò «come una perfetta colonna sonora unitaria la fase eroica della redenzione patriottica», in un crescendo di passionalità politica. I messaggi politici, l'incitamento alla guerra contro lo straniero, il richiamo alla patria oppressa passarono attraverso le musiche e i drammi, in un gioco sottile di allusioni, così da aggirare la censura. Solo per fare un esempio, nel famoso coro del Nabucco di Verdi (Va' pensiero) la nostalgia degli schiavi ebrei per la patria «bella e perduta» era letta come un'allusione alla situazione italiana; perciò il pubblico applaudiva commosso. I dati riprodotti si riferiscono alla città di Milano nei primi decenni dell'Ottocento, e mostrano quanto varia fosse la vita associativa nella città. Al tempo stesso, evidenziano come il fenomeno associativo riguardasse una percentuale molto ristretta della popolazione cittadina. M. Meriggi, Lo «spirito d'associazione» nella Milano dell'Ottocento (1815-1890), in «Quaderni Storici», n. 7, agosto 1991, pp. 416-417.
Il brano che segue è tratto dai Ricordi di gioventù di Giovanni Visconti Venosta, pubblicati nel 1904, e contiene una descrizione del salotto milanese della contessa Clara Maffei, fra i più noti dell'Italia risorgimentale. G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù. Cose vedute o sapute 1847-1860, a cura di E. Di Nolfo, Milano, Rizzoli, 1959, pp. 138-141, 267-270. Galleria immagini
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