Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914)
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1859 - 1933
Siamo nel 1890. Milano si sta facendo metropoli. Da poco più di due anni funziona in città una guardia ostetrica gratuita rivolta alle madri illegittime, e a tutte quelle donne che non potevano permettersi un'adeguata assistenza ginecologica. L'impresa è lodevole e sta riscuotendo un grande successo tra il proletariato cittadino. Ma proprio per questo stenta a decollare: per far fronte alle tante richieste di prestazioni servirebbe molto più denaro, e invece solo a fatica le entrate bilanciano le uscite. Occorre muoversi con intelligenza tra le donne della buona borghesia milanese per sensibilizzarle e coinvolgerle finanziariamente nell'impresa, se non si vuole vederla fallire. Nel gruppo di volontari impegnati a raccogliere fondi vi è in quell'anno anche Ersilia Bronzini, che da lì a qualche anno diverrà una delle più attive protagoniste del movimento emancipazionista femminile italiano. E la moglie di Luigi Majno, un avvocato di fede socialista famoso in tutta Milano per il suo impegno in difesa delle cause dei lavoratori. I Majno sono sposati da poco più di sette anni quando lei inizia ad interessarsi alla causa della guardia ostetrica, hanno avuto tre figli, uno a poca distanza dall'altro e non navigano nell'oro: le parcelle di lui, socio di uno dei due fratelli di lei, sono state da sempre più nominali che reali. Ma la cosa non sembra preoccupare Ersilia, che condivide appieno gli ideali del marito. Sin dagli anni del fidanzamento, del resto, il loro rapporto si era costruito proprio sulla base di una ferrea solidarietà e di un reciproco cameratismo, più che sulla passione o sull'amore romantico. E poi la sua vita non era mai stata semplice: figlia di un piccolo imprenditore, era stata allevata con la sorella Virginia e i due fratelli da una sorella della madre, morta prematuramente. Alcuni investimenti sbagliati del padre, ai quali si era unita la frode di un socio, avevano rapidamente gettato la sua famiglia sull'orlo del fallimento. Ersilia e la sorella furono costrette ad interrompere gli studi, e la loro educazione fu affidata al fratello Alfonso, che invece aveva potuto laurearsi come l'altro fratello Edgardo. Ad entrambi, Ersilia doveva molto: grazie alla passione e all'impegno di Alfonso aveva ricevuto un'ottima educazione, conosceva ora discretamente due lingue e aveva imparato ad amare la letteratura, la storia e la filosofia; grazie ad Edgardo aveva conosciuto Luigi, e cominciato ad amare le sue battaglie in difesa dei diritti dei più deboli. Coinvolta nell'impresa della guardia ostetrica, Ersilia vi si butta subito anima e corpo. In pochi mesi riesce ad aumentare notevolmente le entrate, ed organizza una martellante campagna affinché possa al più presto essere trasformata in ente morale, e quindi usufruire di finanziamenti pubblici. Grazie ai suoi sforzi la struttura migliora rapidamente: tutte le richieste d'aiuto possono ora essere soddisfatte, e alle future madri si può cominciare ad offrire, oltre ad un sostegno più puntuale e sollecito, anche un contributo in denaro e alcune lezioni pratiche di puericultura. Per Ersilia la maternità è la prima e più forte connotazione dell'identità femminile, per questo va protetta e tutelata: in nome suo ogni donna, madre reale o potenziale, deve lottare contro lo sfruttamento, l'ingiustizia e la discriminazione. L'esperienza alla guardia ostetrica fu fondamentale nella vita di Ersilia: fu lì che conobbe Anna Kuliscioff, e con lei molte delle donne con cui avrebbe dato vita negli anni a venire alle iniziative del femminismo sociale milanese. Fu sempre lì che, ascoltando i racconti disperati di tante future madri, maturò la convinzione che se era importante offrir loro un sostegno materiale, ancora di più lo era educarle a cambiare il proprio destino, e aprirle ad una nuova visione di sé, più consapevole ed autonoma, come donne, come madri, e come lavoratrici: «Assistere quelle donne - ricordava Ersilia - farle rialzare dalle tenebre della vita, è rialzare la dignità conculcata del nostro sesso». Lì stava la vera emancipazione delle donne. Ed ecco che proprio negli stessi anni che la videro impegnata a favore della guardia ostetrica, Ersilia decise di aderire anche all'Associazione Generale delle Operaie, della quale qualche tempo dopo divenne presidente. Intanto, mentre proprio grazie a lei la battaglia a favore della guardia ostetrica stava ormai per essere vinta, i sanguinosi scioperi del maggio 1898 avevano quasi del tutto spazzato via molte associazioni femminili milanesi nate a difesa delle lavoratrici. Colpita dalla loro fragilità, Ersilia decise di dar vita ad un'unica associazione che le legasse tutte, rafforzandole reciprocamente. Vi era bisogno di «un movimento di lavoro pratico», come lei stessa lo definì, che potesse unire le donne «senza distinzione di classe, di cultura e di opinioni, poiché abbiamo in comune come donne doveri per i quali è utile prepararci insieme, e diritti che lavorando unite potremmo più facilmente conquistare». Nel 1899 nacque così a Milano l'Unione Femminile, di cui la Majno fu presidente per una decina d'anni. Tramite l'Unione, che ospitava anche il Comitato milanese contro la tratta delle bianche, diretto dalla stessa Majno dal 1901, Ersilia fondò un periodico, l'Unione femminile, organizzò spazi sicuri in cui le piccole operaie potessero riunirsi nei giorni festivi, offrì lezioni di puericultura, di economia domestica, seminari e corsi professionali, e sperimentò accanto a iniziative di carattere più tradizionale anche progetti del tutto nuovi, sfruttando ogni minimo spiraglio che le leggi offrivano alle donne. Poiché la legge sulle Opere Pie del 1890 le ammetteva nei Consigli di Amministrazione di ospedali, orfanotrofi ed istituzioni analoghe, l'Unione cominciò ad organizzare corsi per preparare le donne della classe media ad occupare quei ruoli, istituzionalizzando la tradizionale presenza femminile nella beneficenza. Lei stessa del resto, prima donna nella storia del nostro paese, dal 1900 ricoprì la carica di consigliere d'amministrazione all'Ospedale Maggiore di Milano. Nel giugno del 1901 Ersilia era a Roma per una riunione sui diritti femminili. Mentre era lontana, sua figlia minore, la più amata, morì all'improvviso di difterite. Schiacciata dai sensi di colpa, alimentati da chi sembrava non perdere mai occasione per farle notare che la piccola era morta perché lasciata ad estranei, Ersilia decise di abbandonare ogni impegno politico. Non ebbe neppure il cuore di assistere alla cerimonia d'inaugurazione dell'Asilo Mariuccia, un istituto destinato al recupero delle bambine e delle adolescenti pericolanti o già avviate alla prostituzione che così tanto aveva voluto. Il giorno dell'inaugurazione era lontana da Milano, era insieme alla figlia maggiore. Era con Carlotta, dicevano alcuni, perché la poverina stava male. Secondo altri Ersilia era invece lontana da Milano per sfuggire al ricordo della piccola Mariuccia, distrutta al pensiero di rientrare in città. Al posto della sua bambina avrebbe trovato ora solo un'istituzione che portava il suo nome. La cattiva sorte sembrava volersi accanire su di lei: quattro anni dopo la morte di Mariuccia morì anche Carlotta. Ed Ersilia fu sola ad affrontare anche questa nuova tragedia: sebbene dall'esterno il suo matrimonio fosse sempre apparso sereno ed esemplare, Luigi le aveva confidato di essersi innamorato di Anna Kuliscioff. Da allora l'equilibrio che da sempre aveva retto il loro matrimonio si era spezzato: «Così ha voluto il destino – scriveva Ersilia nella sua agenda nel 1909 – una vita in due senza mai un attimo di fusione, nemmeno l'amore per i figli, per lo strazio di perderli, nell'ansia di quello che ci rimane». A lei non era stato mai concesso tempo per sognare, era sempre stata troppo presa a combattere. E le battaglie non erano ancora state vinte tutte. Forte di questo decise di tornare in prima linea, a cominciare proprio dall'Asilo Mariuccia, che col tempo avrebbe trasformato in un'opera di assistenza all'infanzia, realizzando uno dei suoi più antichi desideri, quello di lavorare alle “radici” di tutti i mali tutelando i bambini, perché «il diritto all'amore, alla gioia, all'educazione,allo sviluppo integrale di tutte le facoltà si riconosca a tutti, e sia uguale per tutte le creature chiamate alla vita». Nel primo decennio del Novecento Ersilia era presente in tutte le associazioni più attive per la riforma del trattamento della delinquenza minorile, e con il figlio Edoardo, appena laureato, condusse una instancabile campagna per l'introduzione anche in Italia dei Tribunali dei minori. Nel 1910 fu chiamata a far parte della Commissione reale per lo studio della delinquenza minorile, ed elaborò un denso studio sui caratteri della delinquenza delle minorenni, e sui mezzi per prevenirla, in aperta polemica contro l'organizzazione che ancora era data ai Riformatori, affidati a personale religioso femminile. Ersilia, la «santa laica», criticò senza mezzi termini i metodi utilizzati dalle suore, che giudicava antiquati e inadatti. Uno degli appunti maggiori che in quegli anni venivano mossi all'Asilo Mariuccia era del resto proprio la sua laicità, e il suo indirizzo moderno. Intanto, con lo scoppio della guerra e per quanto fosse contraria all'intervento, su incarico del comune di Milano si impegnò ad assistere i figli dei richiamati. Solo qualche anno più tardi, non condividendo le posizioni antidemocratiche assunte dalla dirigenza dell'Unione Femminile, decise di abbandonare l'associazione. Ma non per questo cessò di combattere le sue battaglie. Instancabile, continuò sino a pochi giorni prima di morire ad impegnarsi in difesa delle donne lavoratrici, della sorte dell'Asilo Mariuccia e di quella delle sue piccole e fragili ospiti. Simona Trombetta |