Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914)
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1812 - 1891
In un'epoca e in una regione, la Lombardia, in cui abbondano le fondazioni di congregazioni religiose femminili dedite all'insegnamento, Marina Videmari costituisce uno degli esempi più importanti e innovativi per la sua passione culturale e il suo coraggio: le sue suore furono tra le prime a frequentare l'università e a laurearsi, frequentando università di Stato. Nata a Milano nell'agosto del 1812 da Maria Guidetti e Andrea Videmari, “smacchiatore e profumiere” nella contrada dei Due Muri, frequentò come gli altri otto fratelli le scuole pubbliche, che nella Milano della Restaurazione si rivolgevano a fornire un'istruzione di base alle ragazze e ai ragazzi della piccola e media borghesia e a trasmettere, insieme all'apprendimento del leggere, scrivere e far di conto, il catechismo e le regole della buona condotta cristiana. Assidua frequentatrice dell'oratorio festivo tenuto da madre Bairoli nella canonica di Sant'Ambrogio, incline a intraprendere la vita monastica, Marina Videmari sembra ripercorrere – nei brevi cenni autobiografici e nella letteratura biografica a lei dedicata – le tappe di un vissuto spirituale femminile in cui la precoce vocazione religiosa incontra degli ostacoli. Nel suo caso, sono i doveri familiari relativi alla numerosa prole della famiglia Videmari, e soprattutto una febbre diagnosticata dai medici come “consuntiva”, a precludere alla giovane donna l'ingresso nel monastero delle Visitandine di S. Sofia (il cui collegio era frequentato dalle giovanette dell'aristocrazia milanese) e la scelta di abbracciare la condizione religiosa. La frequenza di un corso di esercizi spirituali, tenuti nel 1835 da don Luigi Biraghi nella canonica di Sant'Ambrogio, schiude alla giovane donna di 23 anni un nuovo orizzonte, che si configura come opportunità, da un canto, di ricevere un'istruzione superiore e come possibilità, dall'altro, di incanalare la vocazione in un'opera dall'alto profilo religioso e sociale. Infatti, all'amico di famiglia conosciuto già da molti anni, all'illustre religioso docente di discipline umanistiche nel seminario filosofico di Monza e in quello ginnasiale di Seveso, i coniugi Videmari non ebbero difficoltà ad affidare l'istruzione e la formazione della giovane figlia, la cui salute cagionevole sconsigliava i rigori della monacazione. Dietro consiglio e sotto la direzione di Biraghi, Marina Videmari completò i suoi studi, fra il 1837 e il ‘38, presso la scuola convitto delle maestre Bianchi di Monza. Poi, messa a parte dell'intenzione di Biraghi di fondare un collegio per fanciulle e di affidare a lei la loro istruzione, frequentò una scuola pubblica di Milano per ottenere la patente di maestra e l'abilitazione all'insegnamento. E cosi, superati brillantemente gli esami, Marina ottenne dall'Imperial Regio Governo Austriaco la patente di maestra. Gli anni successivi furono impegnati dalla realizzazione di un progetto in cui confluivano gli echi di una corrente cristiana romantica, ispirata dalle idee di Rosmini e Gioberti che, temendo la deriva di una società minacciata dalla secolarizzazione e dal laicismo, prefigurava strategie di educazione e formazione delle giovani generazioni. In quest'ottica, per Biraghi e per altri riformatori cattolici, una funzione di rilievo veniva assegnata alle donne: le madri, le mogli, le educatrici. Nacque così nel 1838, dall'impegno di Marina Videmari e dal progetto di Luigi Biraghi, la prima congregazione delle Marcelline, fondata in una casa presa in affitto a Cernusco, in cui di lì a qualche mese fecero ingresso, dietro il pagamento di una retta, 14 alunne tra i sette e i dodici anni distribuite nelle prime tre classi elementari, e altre maestre destinate ad affiancare l'impegno d'insegnamento della Videmari: responsabile dell'istituto, e infaticabile ricercatrice sia delle autorizzazioni necessarie all'esercizio dell'istituzione (quella governativa di competenza del governo austriaco, l'approvazione della regola da parte del vescovo), che di sostegno finanziario. Molti gli elementi del collegio delle Marcelline che si configuravano come innovativi rispetto ai canoni dell'istruzione femminile impartita negli altri istituti religiosi cittadini, in cui comunque vigevano i programmi stabiliti dal Regolamento per le scuole del Lombardo Veneto. Fra essi, la vita comune delle maestre e delle allieve (la medesima tavola e i medesimi dormitori), le vacanze autunnali in famiglia (introdotte negli anni successivi), la visita settimanale di alunne e maestre alle inferme, la presenza di abbondanti tempi di ricreazione, allietati da giochi e «merende di passeggio», che interrompevano il ritmo della giornata scolastica; la moderatezza dei castighi. I successi dell'istituto di Cernusco, e l'ampliamento del corpo insegnante (nel 1840 otto Marcelline conseguirono a Milano la patente di maestra) favorirono le nuove fondazioni, nelle quali ebbe modo di emergere il talento “imprenditoriale” della Videmari, eletta Superiora Generale nel 1852, e il suo fervore sociale e religioso,attestato anche dalla stima di cui godette presso l'aristocrazia e l'alta borghesia milanese: il collegio di Vimercate, che nel 1845 raggiunse il numero di 136 allieve; quello milanese di via Quadromo nel 1854, in cui nel 1854-‘55 raggiunsero il numero di 75; quello di via Amedei, che accolse anche alcune sordomute benestanti; quello di Genova del 1868, fondato perché le allieve milanesi potessero usufruire dei benefici dell'aria marina; quello di Chambery del 1874, sorto nella cittadina svizzera alcuni anni dopo che Marina Videmari aveva accompagnato alcune alunne ad un corso di francese; nel 1882, dopo la morte di padre Biraghi, su richiesta della provincia leccese la superiora generale decise di trasportare le sue “lombardissime” Marcelline nelle lontane Puglie creando un istituto di insegnamento femminile che svolse un ruolo importante nell'istruzione delle ragazze pugliesi di ceto elevato. Impegnata in un'opera di istruzione e formazione, successivamente estesa alle classi superiori, che mirava a disegnare il profilo della donna cristiana della media e alta borghesia; coinvolta in un'azione di costante aggiornamento delle insegnanti che provocò le perplessità dei benpensanti, convinti che il posto delle donne fosse nella casa e «non nell'università», come le nove Marcelline laureatesi nel 1889; sensibile alla diffusione di istituti destinati alle fanciulle povere, cui offrì il sostegno economico della sua congregazione, Marina Videmari non si sottrasse alle emergenze che segnarono la vita politica e sociale del Lombardo Veneto nel corso del Risorgimento. Nel 1848, nel corso dei disordini che accompagnarono le cinque giornate di Milano, ella aprì le porte dell'istituto di Vimercate alle contadine dei dintorni, spaventate dalle notizie di rappresaglie dei tedeschi; e nel 1859, quando le truppe franco-sarde entrarono vittoriosamente a Milano, per alcuni mesi prestò assistenza ai patrioti e ai francesi feriti nell'ospedale di S. Luca: un impegno che le valse la medaglia d'argento di Napoleone III. L'unità italiana e il solco che si aprì tra Chiesa e Stato all'indomani delle leggi di soppressione e di incameramento dei beni ecclesiastici, ebbero riflessi sulla storia della Videmari e della sua congregazione: soppresse come ordine e private dei beni, esse comunque continuarono la loro opera educativa nei collegi di cui non erano più proprietarie. Morì nell'aprile del 1891, a 79 anni. La sua storia e la sua personalità, oltre che dalle biografie e dalla letteratura a lei relativa, ci sono note attraverso la corrispondenza, conservata presso l'Archivio della congregazione milanese delle Marcelline, e un suo scritto Alla prima fonte. Cenni storici dell'Istituto delle Marcelline, pubblicato postumo nel 1938. Sara Cabibbo |