Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914)
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1854 - 1935
“La regolizia dal fusto liscio e dai fiori giallognoli viene spontanea in molti luoghi, finanche tra le macie del castello di Cosenza. Nondimeno la coltura della regolizia è trascurata, e pochi tra i nostri più grandi proprietari se ne pigliano pensiero, e di ciò è causa il poco o nessun consumo che si fa tra noi dei pannellini di liquirizia..” scrive Vincenzo Padula nel 1864. Ma c'è una famiglia aristocratica di Rossano Calabro che fa eccezione a questa regola, i baroni Amarelli, proprietari di vaste zone di latifondo dove si coltiva la liquirizia. Gli Amarelli puntano molto su questa produzione e sulla sua lavorazione e costruiscono anche, accanto al loro palazzo, una fabbrica per il concio di liquirizia. Saranno anche i primi a modernizzare i sistemi di lavorazione, acquistando macchinari innovativi, e a concedere un salario migliore agli operai. Dal porto che esisteva poco lontano dall'abitato di Rossano gli Amarilli spedivano le liquirizie utilizzando velieri di loro proprietà, o utilizzando il treno, per i quale avevano ottenuto tariffe speciali, dati gli ingenti quantitativi che partivano dalla Calabria diretti ai paesi europei. L'importanza della liquirizia dipendeva, oltre che dal consumo diretto, anche dall'utilizzo come “aroma” nella concia del tabacco, uso diffuso in parte ancora oggi, e anche per l'industria farmaceutica, profumiera (dentifrici e prodotti di cosmetica) e dolciaria (la liquirizia entra tra gli aromi della coca cola e della birra scura). A dare un impulso imprenditoriale alla lavorazione della liquirizia fu soprattutto Giuseppina, figlia del barone Fortunato, che era stato il primo sindaco di Rossano dopo l'Unità d'Italia. Nel 1894, alla morte del fratello Giuseppe, fu questa volitiva “signorina” a prendere le redini dell'azienda di famiglia in cui poi, negli anni Trenta, coinvolgerà i due giovani nipoti. Giuseppina è una vera eccezione per il suo tempo e la sua terra: non solo si era laureata in Giurisprudenza a Napoli, ma si era servita della sua preparazione giuridica per difendere l'azienda di famiglia dal barone Onofrio Ferrara, in una contesa che riguardava una partita di liquirizia. Sotto la sua direzione, l'azienda di famiglia divenne nota in tutto il mondo Fu anche capace, grazie ad un espediente giuridico, di assicurare ai suoi eredi – che dovevano essere maschi, però – il lascito della nuda proprietà dell'azienda, così da permettere loro di non pagare tasse di successione per oltre settant'anni. Il testamento – redatto nel 1935 - con cui aveva perfezionato questo stratagemma si concludeva, rivolgendosi agli eredi, con una attestazione della sua sincera fede religiosa e del suo forte legame affettivo nei confronti della famiglia: “Raccomando loro la nostra Santa religione e che non si dimentichino di me che li ho tanto amati”. |