Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra (1915-1950)
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1862 - 1951
Quando nel maggio 1898 venne sciolta la Lega per la tutela dei diritti delle donne anche la sede di Corso di Porta Nuova 37 a Milano venne chiusa. Il Commissario Regio che se ne era occupato provvide anche a segnalare al Questore i nomi delle donne che ne costituivano l'esecutivo, fra i quali campeggiava quello di Regina Terruzzi. Nata a Milano, figlia di un eroe delle Cinque giornate del 1848, rimasta precocemente orfana, aveva lavorato da operaia e studiato da autodidatta. Dapprima maestra a S. Giorgio Morgeto in Calabria, poi studentessa al Magistero di Roma e bibliotecaria alla Biblioteca Nazionale di Napoli, come socialista si impegnò nella vita politica anche a nome della Lega. Ma il suo percorso di insegnante fu costellato di dissapori con le autorità scolastiche che poco amavano la sua testarda convinzione della bontà delle classi miste e di metodi pedagogici che rispettassero e sviluppassero le capacità espressive degli alunni. Non furono questi i soli motivi che la misero in conflitto con le gerarchie scolastiche e che la sottoposero a provvedimenti disciplinari sopratutto per aver dato alla luce suo figlio Paolo fuori dal vincolo matrimoniale. Coraggiosa e decisa riuscirà ad ottenerne la legittimazione per decreto reale nel 1913 ma il tema la toccherà sempre nel vivo. Con lettere, petizioni e appelli cercherà di convincere il Duce in persona che se l'apparato legislativo era difficile da riformare si poteva almeno evitare lo spregiativo epiteto di “figlio di ignoto”. Fra i temi dell'emancipazione femminile mise il diritto al voto fra le battaglie fondamentali, ma senza dubbio il suo interesse principale rimase l'educazione nelle sue molteplici forme. Presidente dell'Università popolare, fondò una scuola per infermiere a Mombello, una scuola serale a Monza, un asilo a Laives, fino ad impegnarsi nella creazione dell'Insubria, la prima società di ginnastica lombarda. Con Anna Kuliscioff e Carlotta Clerici al Congresso del 1913 di Reggio Emilia fondò l'Unione femminile socialista, ma dopo aver rotto con il partito socialista in occasione della prima guerra mondiale perché interventista, divenne la più anziana e politicamente esperta fra le fasciste della prima ora. Già nel 1923, però, prese le distanze dal fascismo, condannando le violenze squadriste e impegnandosi per raccogliere aiuti per gli orfani dei comunisti vittime del “Natale di sangue” torinese del 1922. Dopo aver protestato anche contro il Tribunale Speciale nel 1927 e essersi battuta perché fossero previste rappresentanze femminili al Consiglio superiore delle corporazioni, si dedicò soltanto all'insegnamento presso l'Istituto Tecnico Carlo Cattaneo di Milano. Nel 1931, a sessantanove anni e dopo quarantuno anni di servizio lasciò l'insegnamento ma per la politica non era ancora giunta la parola fine. Nel 1933, nel pieno dell'«andata verso il popolo» del regime, sorvolando sulla sua scarsa ortodossia pur di avere a disposizione la sua esperienza, Luigi Razza, capo della Confederazione fascista dei sindacati dell'agricoltura le chiese di impegnarsi nella creazione delle Massaie rurali. Si contornò esclusivamente di collaboratrici e si servì delle sue consolidate reti di relazione, mettendo a frutto soprattutto il suo rapporto con Anita Cernezzi Moretti, presidente dell'Unione massaie della campagna della provincia di Milano. Le sue virtù di organizzatrice diedero inizialmente risultati degni di nota tanto che nel 1934 le massaie rurali furono sottoposte al controllo del sindacato e assegnate ai Fasci femminili. Nel 1935 decise di ritirarsi definitivamente dalla vita pubblica e di stabilirsi a Firenze dove viveva il figlio, dedicando i suoi ultimi anni alla scrittura di saggi e memorie. Alessandra Gissi |