Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011)
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1930
Ho conosciuto Lucia Torossi negli anni ‘50 in casa di mia sorella Silvana Ottieri, a Milano. Una giovane donna dal bel volto, lo sguardo intelligente, vivace. Parlava con mia madre Maria Luisa, polo di confidenze femminili, in un atteggiamento proteso, le gambe un po' oblique per il colloquio laterale sul sofà: davano il senso di un corpo attraente. Scambiammo qualche parola, nonostante il mio mutismo, ero malato, compresso in un terrore di Dio e della vita. Lavoravo terapeuticamente alla casa editrice Bompiani. Lì conobbi il marito di Lucia, Lionello Torossi, frequentatore di redazioni editoriali, irrequieto ed espansivo. Quindi un salto nel tempo. Anni di vite diverse, cambio di città, da Milano a Roma, scomparsa di figure, e nuove presenze. L'amicizia tra noi, che di fatto non era mai nata, si riaccese nel primo incontro a Roma. Non ne ricordo l'occasione, ma ci fu. Visitai la sua galleria di via Giulia e quindi fui invitato nella sua casa di via Giulia. Una casa senza quadri in “lunga detenzione”, come dice con grazia Giulio Paolini dei musei. La dislocazione delle opere sembrava definitiva, ma mutava di continuo, i quadri conducevano una seconda vita in giro per città, mostre, o collezioni. La cortesia equilibratissima di Lucia e la cortesia delicatissima di Fabio Benzi, suo compagno, accudivano perfettamente l'ospite. Sullo sfondo opere di tempi lievemente remoti. Vi avevo ritrovato la cultura della mia prima giovinezza: De Pisis, Carrà, il Novecento italiano, i tempi prima della guerra, a Milano. Gli anni della rivista Civiltà edita da Valentino Bompiani, o di Aria d'Italia di Daria Guamati, della Casa d'Artista, o del Milione di Ghiringhelli. Lucia Torossi riportava sul tavolo, e quindi all'attenzione del presente, un'arte italiana dai Mafai ai Cavalli o Capogrossi, opere non minori, ma sepolte, forse in virtù del confronto con una consueta Parigi senza dubbio eccellente, ma non esclusiva. De Chirico, Balla, Savinio, Boccioni, Marussig, Carrà: pittori che formano un ponte tra la pittura italiana dei precedenti Chini, fine e inizio Secolo, e attraverso le avanguardie europee, il Futurismo italiano in specie, e quindi il ‘900, porto “classico” di transfughi da esperienze diverse, attraverso incroci continentali, sembrano spingersi oltre ogni anatema e confine, ad una ribalta linguistica assolutamente comune al secolo, fino ad oggi. Un percorso non rettilineo, ma collegato, non solo a causa dei suoi attori, gli stessi di frequente, ma a causa della pertinenza linguistica del tragitto: una storia del significato, non un magazzino di frammenti privi di correlazione. La guerra dei significati o la battaglia degli stili in casa di Lucia si placava in un'amnistia o un armistizio, al fine di disseppellire i morti apparenti. Opportunamente accostati, convivevano quadri che indicavano interessi vivi, da poco trascorsi, reintroducevano in luoghi non più praticati, ma densi di persone interrogative, pensose, sul serio esistite (amici di Boccioni, figlie di maestri, o Tolstoi in persona). E, soggetto base, nudi di donne in cui il solo taglio dei capelli indicava l'epoca Si riscopriva qualcosa che si sapeva: l'uomo, la sua vitalità, il talento non erano mai sul serio defunti, né mai nati ora, come ogni generazione tende a credere, ma solo gettati alle spalle, per motivi di gusto, di ideologia soggiacente, di estetiche nuove in formazione. Mutazioni d'epoca: quasi accidentali, non così essenziali. Il trascorrere del tempo le rendeva persino di nuovo ermetiche, riaprendo il tema delle “variazioni del gusto”, secondo l'indicazione di Hume, cioè del rapporto tra arte e storia, o sua storia, problema non proprio risolto, ma noto. Lucia non ignorava le questioni dell'arte. Vi aveva preso una posizione decisa, da amante dell'arte del secolo. Un'attitudine di memoria, studio e giudizio, non del tutto storicista, né solo liberale, non contenutista, né del tutto formale. Si comportava come un museo dell'invenzione in un'istituzione privata, in casa, si può dire. Nata Stefanelli il 17 novembre 1930, Lucia a diciannove anni sposa Lionello Torossi. Scrive per Noi Donne, redigendo la rubrica di corrispondenza con le lettrici. Interessata alla psicologia infantile, organizza una “Scuola di Gioco Drammatico”, utilizzando la teatralizzazione come spunto per innescare un training autogeno nei bambini. Nel 1966 un suo interesse diviene centrale, Lucia apre a Roma la Galleria Arco Farnese, inizialmente occupandosi di antiquariato, soprattutto di disegni antichi. Dal 1981 si orienta decisamente su l'arte, l'arte italiana tra fine Ottocento e seconda guerra mondiale. A quel tempo tale periodo era divenuto più che sconosciuto. Ha dell'incredibile riaffermarlo. Salvo Giorgio Morandi e De Chirico (solo Metafisico), gli altri autori erano monopolio di gallerie di second'ordine. Nessuno organizzava mostre “scientifiche”. Lucia Torossi organizza per prima la mostra sugli artisti a Roma tra le due guerre (Gli Artisti di Villa Strohl-Fern, 1983), lanciando il loro recupero storico. Segue e promuove per dare spazio e spessore al periodo la mostra di Cavalli, 1984; Carena, 1984; La Scuola Romana e tonalismo, 1985; Pirandello, 1985, caratterizzate da cataloghi accurati e da pubblicazioni che colmavano il vuoto critico e culturale quasi totale. La stessa operazione la svolge obbligatoriamente su artisti non romani, Severini, Sironi, Martini (di cui organizza nel 1986 una grande mostra privata, e la prima a Roma dopo la Quadriennale del 1955). Puntualmente Lucia Torossi si imbatte e rileva l'importanza storica dei Movimenti d'arte. La prima Mostra sul “Novecento Milanese” di Margherita Sarfatti le si deve, e la prima sul “Divisionismo Romano” e “Casa d'Arte”, sulle arti applicate di artisti tra le due guerre. Momenti fondamentali della cultura filologica, indispensabili alla comprensione dell'arte moderna, non solo italiana. Indagine sulle fonti, gli intrecci, le problematiche delle poetiche e teorie attraverso figure non secondarie nella storia dell'arte. La mostra sul “Divisionismo Romano”, fondamentale alla comprensione stessa del Futurismo, così come “Casa d'Arte” un atto nordico e fondante dell'arte italiana, sono capitoli attivi e connessioni centrali della cultura contemporanea. Le cene in casa di Lucia e Fabio, equivalente di mostre ideali sia per la scelta accurata dei quadri che degli ospiti, riaccendevano la complicità di un sodalizio, di amanti fedeli della pittura e scultura come tali, una società di “carbonari”. Si creava un'amicizia collettiva, oggettiva, di stima, e di stretto legame con il soggetto, mai del tutto inamovibile, dell'arte, la sua continuità. Lucia sapeva bene che, come lei, io ero un testimone diretto di altre epoche, ma ero stato, fin dalla prima giovinezza, un “mormone”, praticante ortodosso di un'avanguardia intransigente. Visitava le mie mostre e parlavamo delle espressioni più acrobatiche o di frequente ostili, come di acquerelli seicenteschi, con il massimo del giudizio e il minimo di pregiudizio, se possibile. Rimandando i nostri temi a una sapienza più fonda, che superava entrambi, pacificandoci su una soluzione storica da trovare, e senz'altro esistente, tra la rovina degli eventi e la intangibilità o quasi ingiudicabilità della sopravvivenza dell'arte e della sua irragionevole e quasi immeritata bellezza. Lucia Torossi e il suo lavoro sono divenuti ormai così attuali nella cultura italiana, da apparire naturali, da sempre presenti. E non è vero, come si è cercato di mostrare con qualche dato molto sintetico. L'opera di Lucia Torossi ha restaurato una misura più completa del giudizio storico, senz'altro nella pratica espositiva e museale dell'arte. La bellezza e il valore, si sa, non sono mai un unicum in un'epoca che si possa definire tale per la sua cultura, ma ha molti attori, come una reale fabbrica dell'invenzione, complessa e completa. Lucia ha operato, con strategia, in prima fila, in un ruolo decisivo, con risultati visibilmente concreti, sotto i nostri occhi. Occupa un posto esatto nella nostra memoria storica. Fabio Mauri |