Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011)
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1919 - 1998
Luciana Nissim nasce a Torino il 20 ottobre 1919, da una famiglia ebraica. Quello ricevuto dai suoi era un ebraismo fortemente assimilato, con un'osservanza ridotta a pochi rituali famigliari, ma con una forte consapevolezza di un'irrinunciabile appartenenza ebraica, “questa piccola debolezza di essere ebrei, che non si capiva bene che cosa fosse”, come la definirà molto più tardi. Dopo il liceo, Luciana sceglie di laurearsi in Medicina e inizia i suoi studi a Torino. Era il 1937, un anno prima delle leggi razziste, una circostanza questa che le lascia la possibilità di terminare gli studi iniziati. Sua sorella minore, l'amatissima Dindi, che aveva allora dieci anni, fu invece cacciata dalle scuole. Il trauma fu forte e tale da rinsaldare la debole identità ebraica di Luciana che, dopo il 1938, cominciò a frequentare attivamente la biblioteca della scuola ebraica di Torino, divenuta un luogo d'incontro di molti altri giovani ebrei della sua età. Si lega così di stretta amicizia con i fratelli Artom (uno dei quali, Emanuele, morirà assassinato dai nazisti durante la Resistenza), Primo Levi, Vanda Maestro, Franco Momigliano, di cui diventerà poi la moglie, e molti altri. Laureatasi, si sposta in cerca di lavoro a Milano, dove il gruppo di amici si ricostituisce in parte, gravitando intorno alla casa di Ada Della Torre, cugina di Primo Levi. Nel settembre 1943, dopo l'armistizio, molti di loro riparano in Val d'Aosta, dove ad Amay, sopra Saint Vincent, Luciana forma insieme con Primo Levi, Vanda Maestro ed altri un gruppetto partigiano legato a Giustizia e Libertà. “Eravamo i partigiani più disarmati del Piemonte, dirà poi di quella breve esperienza Primo Levi, e probabilmente anche i più sprovveduti”. Il 13 dicembre, le milizie di Salò li arrestano tutti, portandoli nelle carceri di Aosta. Qui, Luciana, Vanda e Primo decisero di dichiararsi ebrei, per sfuggire alla possibilità di essere fucilati immediatamente come partigiani. Nel gennaio, furono portati nel campo di Fossoli, dove resteranno fino al 22 febbraio, quando saranno spediti in un vagone piombato ad Auschwitz. Con Luciana, Primo e Vanda era su quel vagone anche Franco Sacerdoti, che Luciana aveva conosciuto a Fossoli e con cui ebbe una brevissima storia d'amore, prima che l'arrivo ad Auschwitz li separasse. Come Vanda, a differenza di Luciana e di Primo, Franco Sacerdoti non farà ritorno. Ad Auschwitz-Birkenau, Luciana dichiarò subito di essere medico, ed ebbe così diritto al relativo privilegio goduto dai medici ebrei: non erano inviati subito alla camera a gas e godevano di condizioni di vita meno terribili degli altri prigionieri. Esercitò il suo mestiere nell'infermeria femminile di Birkenau, il Revier, senza medicine, senza possibilità di curare le sue pazienti, anzi costretta a vederle continuamente selezionate per le camere a gas. Nell'agosto, si offrì volontaria come medico in un campo di lavoro in Germania, una sottodipendenza di Buchenwald. Lasciava dietro di sé la carissima amica Vanda, già molto provata dalla prigionia e destinata ad essere uccisa poco dopo nelle camere a gas. Durante l'avanzata degli Alleati, Luciana riuscì a fuggire e a conquistarsi la libertà. Restò ancora alcuni mesi in Germania, prestando la sua opera di medico in un campo di rifugiati a Grimma, poi riuscì a rientrare a casa sua a Biella, il 20 luglio 1945. Su queste vicende, scrisse quasi subito, fra l'ottobre e il dicembre 1945, un rapporto, richiestole dall'Unione delle Comunità, poi un brevissimo libro, Ricordi della casa dei morti, composto tra l'ottobre 1945 e l'aprile 1946, che rappresenta una delle prime testimonianze sulla Shoah e che precede addirittura la prima uscita di Se questo è un uomo. Successivamente, di queste vicende della sua vita non parlerà né scriverà più per oltre quarant'anni. Sono gli anni del matrimonio con Franco Momigliano, destinato a diventare uno dei più autorevoli economisti italiani, della maternità, dell'impegno politico nel partito comunista, del lavoro come pediatra all'Olivetti, che Luciana vedeva come un risarcimento per i bambini che non aveva potuto far nascere nei campi. Poi, ci sarà la pratica psicoanalitica e il lungo lavoro come analista, a Milano, che ne farà un personaggio di primo piano nel mondo psicoanalitico italiano. Allieva di Franco Fornari e di Cesare Musatti, si ispirò poi alle teorie di Melanie Klein e di Wilfred Bion I suoi scritti furono importanti e assai innovativi, tutti centrati sul training analitico e sul rapporto con il paziente, come il famosissimo Due persone che parlano in una stanza. Durante questi anni, terrà sempre separata dalla sua pratica psicoanalitica la memoria della deportazione. Aveva girato pagina. Solo negli anni Ottanta questa separazione cominciò ad incrinarsi, e Luciana comincerà a riflettere sul rapporto tra il mestiere che aveva scelto e il trauma di Auschwitz. Nel 1987, alla morte di Primo Levi, scrive per lui un necrologio sulla Stampa in cui dice: “Ciao Primo, testimone sulla terra. Nel dolore disperato di oggi, resto ormai sola a ricordare l'altro viaggio”. E così, prende la staffetta lasciata cadere da Primo Levi, torna a Birkenau, e si racconta in molte lunghe interviste, pur continuando il suo mestiere di psicoanalista e assumendo nel campo sempre maggiore autorevolezza. Ammalatasi nel 1995, muore nel 1998, a settantanove anni. Anna Foa |