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Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011) » Montagnana Rita  
1895 - 1979
 

 

 

All'indomani del decreto Bonomi del 30 gennaio 1945, che accordò alle italiane il diritto di voto, l'UDI scrisse un telegramma all'allora Presidente del Consiglio. “L'Unione delle Donne Italiane, iniziatrice della campagna per la rivendicazione del voto alle donne, oggi che con il decreto del Consiglio dei Ministri si realizza la grande aspirazione delle donne italiane, rendendosi interprete dei sentimenti delle sue associate invia al Governo presieduto dall'Eccellenza Vostra, il suo plauso entusiasta. Le donne italiane sapranno essere degne della conquista raggiunta”.

Tra le firmatarie vi era Rita Montagnana, impegnata in politica sin da giovanissima. Se a soli 13 anni Rita aveva iniziato a lavorare in fabbrica come apprendista sarta, da subito aveva preso parte alle lotte del proletariato torinese.

Durante le agitazioni contro il caroviveri del 1917, divenuta nel frattempo impiegata, la Montagnana si distinse per le sue capacità organizzative e di propaganda. In prima fila alle manifestazioni contro la Grande Guerra, divenne dirigente del Comitato regionale femminile socialista e, poi, membro della commissione elettorale della sezione torinese del medesimo partito.

Nel 1920 partecipò all'occupazione delle fabbriche, e l'anno seguente passò al neonato Partito comunista italiano che, in quella stessa estate, la inviò a Mosca come delegata al III Congresso dell'Internazionale (partecipa anche alla I Conferenza internazionale femminile comunista).

Rientrata in Italia, Rita fu chiamata a Roma alla Direzione del partito, e le fu affidata la direzione del bisettimanale Compagna. Dopo l'ondata di arresti che privò il PCI di molti militanti, nel 1923 la Montagnana svolse un importante lavoro di raccordo, concentrandosi nell'organizzazione dei collegamenti.

Divenne un “fenicottero”, appellativo con cui si chiamavano le militanti comuniste che trasportavano materiali politici sovversivi. Sposatasi l'anno dopo con Togliatti, dal 1926 fu in esilio tra Unione sovietica, Francia e Svizzera, tornando definitivamente in Italia solo nel 1944.

Incaricata di dirigere la commissione centrale femminile del Partito comunista, Rita si impegnò nella costruzione di una organizzazione nazionale femminile unitaria: nel settembre 1944 fu tra le fondatrici dell'UDI, divenendone poi una dirigente nazionale. Attivissima nella campagna per raggiungere il suffragio femminile, il 7 ottobre la Montagnana fu tra le firmatarie (con Giuliana Nenni, Josette Lupinacci e Libera Levi Civita) del promemoria sulla ineluttabilità del voto alle donne presentato al governo Bonomi (l'iniziativa fu della Commissione per il voto alle donne dell'UDI, dell'Alleanza femminile pro suffragio e della Fildis).

Rita, infatti, era autenticamente convinta che l'esperienza della guerra avesse segnato profondamente le italiane. In virtù della Resistenza, affermerà infatti, “le donne si presentano oggi davanti al Paese sotto un aspetto nuovo, non più come mute spettatrici degli avvenimenti, ma come collaboratrici sicure, intelligenti, preziose”.

Ottenuto sulla carta il voto, si trattava però di sensibilizzare le italiane all'esercizio del loro diritto, e già il 10 febbraio (cioè pochissimi giorni dopo la pubblicazione del decreto), il Comitato pro-voto organizzò a Roma, nell'Aula Magna del liceo Visconti, un incontro per celebrare la conquista e richiamare l'attenzione in tema.

La sala era affollatissima: dopo i saluti del CLN (Comitato di liberazione nazionale) per bocca dell'avvocato Costantino Preziosi e del democristiano Mattarella (che portava anche il saluto dei ministri De Gasperi e Togliatti), intervennero Angela Guidi Cingolani (Democrazia Cristiana), Bastianina Musu Martini (Partito d'Azione) e, per il Partito comunista, Rita Montagnana. L'incontro si concluse con la presentazione di un pragmatico ordine del giorno, in cui si affrontava anche la questione nodale della formazione delle liste elettorali.

Paradossalmente, nonostante il decreto Bonomi fosse stato appena emanato, si respirava un clima per certi versi già sfiduciato. Specie agli occhi di chi l'aveva fatta e di chi ci aveva realmente creduto, infatti, i risultati della Resistenza erano già molto deludenti. Non solo erano poche le donne che contavano in politica, o che in qualche modo vi avevano accesso, ma anche per quelle poche la vita non era affatto semplice all'interno dei rispettivi partiti. E questo nonostante Rita fosse convinta che le donne la politica l'avessero nel sangue.

“Quasi per istinto, donne che mai si erano occupate di politica, hanno saputo distinguere gli amici dai nemici. (…) Sono le donne che hanno salvato la vita a migliaia di prigionieri russi, americani, inglesi, francesi, jugoslavi, che si sono tolte il pane di bocca per dar loro da mangiare, che hanno percorso ogni giorno chilometri e chilometri a piedi per raggiungerli nei loro nascondigli. E senza che nessuno lo avesse loro indicato, hanno lottato con tutte le loro forze contro i tedeschi ed i fascisti (…). Nelle officine, nei laboratori, negli uffici operaie ed impiegate hanno contribuito a sabotare la produzione di guerra, hanno difeso in scioperi compatti, malgrado il terrore dei fascisti e dei tedeschi, il diritto a un salario sufficiente, a sufficienti razioni di viveri. (…) Ovunque le unità vittoriose dei patrioti in armi hanno contato nelle loro file centinaia di donne, di eroine che sono state pari ai loro compagni nel coraggio e nell'abnegazione; decine di esse sono cadute fucilate dal nemico”.

Intelligente, preparata, spigliata e battagliera, la carriera politica di Rita Montagnana, però, si è malauguratamente chiusa ben prima del tempo. Ella è stata il prototipo della donna italiana che, sebbene capace ed appassionata del suo lavoro, ha finito per essere marginalizzata costituendo una presenza scomoda per qualche potente. La fine del suo matrimonio con Togliatti (1947), infatti, ne segnò lentamente anche la scomparsa politica. Una perdita di non poco conto per l'Italia Repubblicana.

Emarginata progressivamente dal partito, si ritira a vivere a Torino nel più assoluto riserbo, con il figlio gravemente malato avuto da Togliatti, di cui il padre si disinteressò completamente.

Giulia Galeotti

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